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Chi è Alessio Figalli, vincitore della Medaglia Fields (il Nobel della matematica)
Giovanni Caprara per il Corriere della Sera «La scelta di diventare matematico raramente avviene da piccoli, dato che spesso le persone non immaginano neanche di poterne farne un lavoro. Nel mio caso, fin da piccolo mi piaceva la matematica però ho capito piuttosto tardi di avere una vera passione». Così scriveva Alessio Figalli su una rivista della scienza dei numeri raccontando la sua storia. «Un evento molto importante per me sono state le Olimpiadi della Matematica durante gli ultimi anni del liceo. Risolvendo gli esercizi mi divertivo, era un passatempo piacevole e mi dava un forte stimolo nello studiare di più». Nessun dubbio, quindi, nella scelta della Scuola Normale di Pisa e poi, a seguire, del dottorato, diviso tra Pisa e l’Ecole Normale Supérieure di Lione, seguito dai tutor Luigi Ambrosio e Cédric Villani (anche lui medaglia Fields e ora alla «corte» del presidente francese Macron). «Questo fu l’inizio della mia carriera francese»: concretizzata subito con un posto di ricercatore al Cnrs (il loro Cnr), e poi da professore a soli 24 anni all’Ecole Polytecnique di Parigi. «Quando ormai mi vedevo ben inserito nel sistema e nella vita francese visitai l’Università del Texas, a Austin. Mostrarono interesse nei miei confronti e mi proposero di fare il docente. L’idea di viverci qualche anno mi sembrò interessante e accettai». Rimase per cinque anni poi decise di rientrare in Europa e il Politecnico di Zurigo lo accolse a braccia aperte. «Durante il periodo scolastico – nota – abbiamo una visione della matematica come di una materia arida, fatta di regole fisse e immutabili. È assolutamente falso. Il matematico è una persona creativa che cerca di trovare una soluzione a problemi concreti. Basti pensare che senza gli studi matematici degli ultimi 150 anni non avremmo gli mp3, i Gps, la tv, la crittografia per i bancomat, i motori di ricerca come Google, la Tac, le risonanze magnetiche». La sua passione lo porta ai grandi risultati e cominciano ad arrivare prestigiosi riconoscimenti (dalla European Mathematical Society, dal Collège de France) e finanziamenti (prima della National Science Foundation e poi dell’European Research Council). «Ho intrapreso la carriera universitaria perché mi dà la libertà di una ricerca pura e ora mi posso concede il lusso di lavorare su un problema per vari anni e ottenere il miglior risultato possibile. Il mio campo era il trasporto ottimale che teorizza il modo più economico di trasportare una distribuzione di massa da un luogo all’altro; un tema che ha applicazioni in problemi di natura economica e in tanti altri campi compresa la meteorologia migliorando le previsioni». Così è arrivato alla Medaglia Fields, il sogno dei matematici di tutto il mondo. «Questo premio mi dà tantissima gioia, è qualcosa di così grande che è difficile credere di averlo ricevuto» ha commentato dopo l’annuncio a Rio de Janeiro. Ma quando Figalli non è tra le equazioni ammette di essere «un gran dormiglione, di amare lo sport e quando ero a Parigi mi piaceva fare una passeggiata a Boulevard Saint Michel». Però l’Italia rimane lontana nei suoi pensieri. «Non si sa mai che cosa può succedere – ha dichiarato più volte —. Quando ci saranno i fondi per i progetti o un nuovo posto... C’è una situazione difficile. Forse in Italia bisognerebbe tornare un po’ indietro nell’autonomia», dice facendo riferimento al sistema francese più centralizzato. Ringrazia i vecchi professori (Antonio Corbo Esposito, di Cassino, Luigi Ambrosio, di Pisa, e Albert Fathi, di Lione). Ammette che i ricercatori devono viaggiare e formarsi, ma poi, per rientrare, hanno bisogno di stabilità e concretezze. E così, di fatto, Figalli è un cervello in fuga che «ama molto il suo Paese d’origine, la formazione ricevuta, che tornerebbe in situazioni diverse», ma ha trovato altrove le possibilità di realizzare i sogni. Come la Medaglia Fields.
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Marco Cattaneo per la Repubblica
Ha la faccia pulita del ragazzo della porta accanto, Alessio Figalli. Il vicino di casa educato, tranquillo, di buona famiglia. E lo sapevi pure che andava tanto bene a scuola e all’università, finché ti hanno detto che era diventato professore in Svizzera. Per poi ritrovartelo all’improvviso sulle prime pagine di tutti i giornali: ha vinto la Medaglia Fields, il più prestigioso riconoscimento al mondo per la matematica. Il “Nobel per la matematica”, si dice, ma i matematici ci tengono a sottolineare che è anche di più, di un Nobel, perché viene assegnato solo ogni quattro anni.
E prima di Figalli era toccato soltanto a un altro italiano, Enrico Bombieri, nel 1974.
Laureato a 22 anni, consegue il dottorato appena un anno più tardi, nel 2007, con la supervisione di Luigi Ambrosio e Cédric Villani, a cui la medaglia Fields era stata assegnata nel 2010. Subito assunto come ricercatore in Francia, da quel momento la sua carriera è fulminante, non solo per i risultati che gli hanno fatto meritare il premio, ma anche per i titoli.
Nel 2009 è professore associato all’Università del Texas ad Austin, nel 2011 full professor, professore ordinario. Per approdare infine al Politecnico di Zurigo nel 2016.
Non si definisce un cervello in fuga, Alessio Figalli. «Non sono andato via perché l’Italia non mi ha voluto. Nel mio caso è successo che altri Paesi mi hanno dato occasioni ben prima di quanto ci si potesse immaginare», ha spiegato. Così è andato dove gli veniva offerta un’opportunità. Il perché non è poi difficile da capire. Secondo gli ultimi dati disponibili, in Italia i professori ordinari con meno di 40 anni di età sono 20 su 12.975, lo 0,15 per cento. Ma non va molto meglio nemmeno tra i ricercatori a tempo indeterminato. In questa fascia gli under 40 sono 1.422 su 15.982, nemmeno il 10 per cento. In Texas, Figalli è diventato ordinario a 27 anni, quando con ogni probabilità in Italia sarebbe stato uno tra migliaia di ricercatori precari in attesa di stabilizzazione.
Oggi Alessio Figalli fa notizia perché ha vinto uno dei riconoscimenti più prestigiosi al mondo. Ma appena una settimana fa a 42 italiani sono stati assegnati gli ERC Starting Grant, i fondi dello European Research Council per giovani ricercatori. La notizia è passata inosservata persino al ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca Marco Bussetti, che non l’ha commentata entusiasticamente come usavano fare i suoi predecessori. E forse è meglio così, perché 30 di quei 42 giovani svolgeranno le loro ricerche all’estero, come scrivevamo già ieri su queste pagine. Forse nemmeno loro sono cervelli in fuga. Semplicemente, come Figalli, hanno colto un’opportunità dove gli è stata offerta, dove non hanno salari da fame, dove possono fare il loro lavoro senza combattere con una burocrazia sempre più soffocante.
Per il momento Alessio Figalli non pensa di tornare in Italia, e molti altri come lui. Non ce ne sono le condizioni. Al di là delle Alpi, intanto, il suo mentore Cédric Villani ha da pochi mesi concluso un rapporto che ha convinto Emmanuel Macron a investire 1,5 miliardi di euro nei prossimi dieci anni per lo sviluppo di un programma di ricerca sull’intelligenza artificiale. È davvero tempo di interrogarsi sul modello di sviluppo che vogliamo dare a questo paese.
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Piergiorgio Odifreddi per il Fatto Quotidiano
Nel 1958 un matematico italiano, Ennio de Giorgi, risolse un importante problema aperto da mezzo secolo e sfiorò la medaglia Fields. L’avrebbe probabilmente vinta, se non avesse tagliato il traguardo quasi simultaneamente a un altro matematico statunitense, di nome John Nash. Il risultato fu che non la vinse nessuno dei due, anche se il secondo nel 1992 ricevette come “premio di consolazione” il Nobel per l’economia, dopo una vita avventurosa e tragica raccontata nel famoso film A beautiful mind.
Nel 2018, sessant’anni dopo, un altro matematico italiano, Alessio Figalli, “nipote” intellettuale di De Giorgi, in quanto allievo del suo allievo Luigi Ambrosio, ha raggiunto il traguardo sfuggito per un pelo al “nonno”, mostrando che la matematica italiana non è fatta soltanto di geni isolati, ma di vere e proprie scuole d’avanguardia.
Purtroppo Figalli ha preso molto presto il volo dall’Italia, compiendo tutta all’estero una fulminante carriera. A 23 anni aveva già due dottorati, ottenuti simultaneamente in un solo anno nelle due Scuole Normali di Pisa e Parigi. Queste credenziali da “normalissimo” matematico gli aprirono la strada per andare in cattedra a soli 28 anni, in Texas. E a 34 ha ottenuto ieri il riconoscimento più ambìto per un matematico.
La motivazione del premio cita i suoi “contributi alla teoria del trasporto ottimale”, che lungi dall’essere soltanto un’area esoterica del sapere astratto, è anche un punto nevralgico della scienza applicata. Lo dimostra il primo testo che fu scritto al proposito, dal matematico francese Gaspard Monge nel 1781: Memoria sulla teoria degli scavi e dei riempimenti, che si preoccupava di trovare il modo migliore per smaltire la terra accumulata nella costruzione delle fortificazioni.
Tipici problemi della teoria sono quelli risolti dal gps della nostra automobile, quando cerca il modo ottimale per farci arrivare a destinazione, in base al criterio che gli diciamo di preferire: il percorso di minima lunghezza, o di minima durata, o di minimo costo. Problemi del genere sono ubiqui della ricerca operativa, che si preoccupa appunto di allocare al meglio le risorse.
La loro utilità è così evidente da risultare chiara persino ai politici. O almeno a qualcuno come l’ex presidente Cossiga, che dichiarò di essere “rimasto colpito dal fatto che, a volte, per rendere un sistema più gestibile bisogna renderlo meno complesso: ad esempio, in certe situazioni può essere meglio diminuire il numero dei posti di distribuzione del rancio, invece che aumentarle”.
Il problema a cui alludeva Cossiga, di suddividere una certa risorsa (come il rancio) in un certo numero di parti, in modo da distribuirla in maniera ottimale, fu affrontato negli anni Quaranta dal matematico russo Leonid Kantorovich, in una serie di lavori che gli valsero il premio Nobel per l’economia nel 1975. E in seguito sono stati affrontati e risolti anche aspetti teorici di questi problemi, come l’esistenza, l’unicità e la calcolabilità delle lor possibili soluzioni.
Figalli ha scoperto, in questo campo, che la Natura spesso si pone e risolve problemi di ottimizzazione analoghi a quelli posti e risolti dagli uomini: un po’ come fece Darwin con la teoria dell’evoluzionismo, quando scoprì che la Natura crea specie biologiche nuove mediante un processo di selezione naturale analogo a quello di selezione artificiale seguito dai coltivatori e gli allevatori.
In particolare, Figalli si è accorto che le particelle di cui sono composte le nuvole si muovono seguendo percorsi ottimali: una sorta di applicazione del famoso principio di minima azione enunciato nel 1744 da Pierre-Louis de Maupertuis, secondo il quale “la Natura è economa e ottiene i migliori risultati con il minimo sforzo”. Anche Figalli sembra esemplificare questo principio, vista la facilità con cui ottiene i propri risultati, che oltre alle ovvie applicazioni alla meteorologia hanno per ora fatto meritatamente piovere su di lui la seconda medaglia Fields della matematica italiana.
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Giordano Tedoldi per Libero
Erano 44 anni che un italiano non si aggiudicava la medaglia Fields, il massimo riconoscimento per gli studi matematici, tanto prestigioso da essere definito, con ingiustificato complesso d’inferiorità, il "premio Nobel della matematica". Anche se la medaglia Fields, a differenza del Nobel, è assegnata ogni quattro anni durante il congresso internazionale dei matematici, che quest’anno si è tenuto a Rio de Janeiro. Il primo connazionale a conquistarla, nel 1974, è stato il milanese Enrico Bombieri, e ieri è stato premiato il romano Alessio Figalli, 34 anni (la stessa età di Bombieri quando vinse). La motivazione del premio, che suona ostrogoto per i non specialisti, è per «i suoi contributi sul trasporto ottimale, sulla teoria delle equazioni alle derivate parziali e sulla probabilità». Prima di tentare di dire qualcosa di queste ricerche, è bene però non essere sciovinisti e precisare che Figalli ha ricevuto l’alto riconoscimento insieme a altri tre matematici: il britannico di origine curda Caucher Bikar, il tedesco Peter Scholze, che è anche il più giovane vincitore in assoluto (30 anni), e l’australiano di origine indiana Akshay Venkatesh. Ma torniamo al "nostro" Figalli. Romano, dicevamo e, almeno all’inizio senza nessuna seria considerazione per la matematica: si è diplomato al liceo classico. Il famoso liceo classico che secondo un mucchio di intelligentoni non servirebbe a niente e non sarebbe al passo coi tempi. Una scelta che si spiega col fatto che mentre il padre è ingegnere, la madre è professoressa al classico, e la storia e la mitologia greca erano letture molto frequenti in casa. Tra l’altro, ricorda Figalli: «di solito nel classico ci sono più ragazze che allo scientifico», quindi accettò di buon grado l’indicazione dei genitori classicisti. Ma non è che non fosse portato per la matematica, semplicemente gli veniva troppo facile, gli mancava il senso di sfida.
LE OLIMPIADI
Cambia idea quando frequenta le annuali Olimpiadi della matematica, poco prima della maturità, su suggerimento di un matematico amico del padre. A folgorarlo è la scoperta che in matematica esistono problemi per la cui risoluzione non esistono metodi già pronti, bisogna inventarseli. Ecco la sfida che gli mancava. Dopo il diploma, si iscrive alla Normale di Pisa dove si laurea in matematica in anticipo, nel 2006. Un anno dopo consegue il dottorato e comincia un’esistenza da viandante matematico tra università e centri di ricerche nel mondo: l’Università di Nizza, il Politecnico di Parigi, finché nel 2009 diventa professore associato in uno degli atenei con la più alta concentrazioni di geni al mondo, quello di Austin, in Texas, dove in seguito diventa professore ordinario. Nel 2016 l’ultimo trasloco per occupare la cattedra di matematica all’ETH, il politecnico di Zurigo. Nel frattempo, già nel 2009 aveva cominciato a pubblicare articoli sul "trasporto ottimale", argomento per il quale ha ricevuto la medaglia Fields, la seconda per un italiano come si diceva . Cos’è il trasporto ottimale? Quello che l’espressione suggerisce: il modo migliore per portare una cosa da una parte a un’altra. Come molti problemi matematici, che hanno la curiosa tendenza ad attraversare carsicamente le epoche, l’idea del trasporto ottimale nasce nel diciottesimo secolo da un matematico dell’esercito napoleonico, Gaspard Monge, che volle elaborare un metodo per rendere più efficiente la costruzione delle fortificazioni con terrapieni. Napoleone gli aveva chiesto il modo ottimale di trasportare i carri pieni di terra al fronte. Il carro X dove doveva fermarsi? E quello Y? Sembra un problema facile, ma c’è una gamma enorme di possibilità. Figalli, sulle orme degli studi di altri matematici sulla stessa questione fatti negli anni ’80 e ’90, ha intuito che vari problemi matematici svelano i loro arcani e diventano risolubili se li si affronta seguendo l’approccio del trasporto ottimale.
TEMPO ALLO STUDIO
Approccio che si sposa bene con una delle dichiarazioni di Figalli, che è anche un ragazzo ironico e modesto: «Ho sempre cercato di trovare il rapporto perfetto tra il tempo dedicato allo studio e il miglior voto possibile. Sono sempre stato un ottimizzatore: volevo il meglio col minimo sforzo». Dopo i piagnoni del liceo classico, ecco serviti anche i Soloni che raccomandano di spaccarsi la schiena: non sono le ore a sgobbare che contano, è come si usa il cervello, ed è pure la scintilla del genio che, come diceva il classicista Burckhardt, che certo in casa Figalli sarà ben noto, è un mistero. Ancora più fitto di quelli matematici.