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 2018  agosto 01 Mercoledì calendario

Gli uccelli di rovo del cardinal Colonna

Altro vanto non ho, se non quello d’esser tua schiava (...) e di avere ogni tanto tue nuove», scrive in una lettera una donna spagnola che si cela sotto lo pseudonimo di Henarda, pastora dell’Henares. E un’altra, che muore di gelosia e si fa chiamare Ninfa Castalia, scrive: «La signora (...) ti ama più della sua vita e dell’anima sua (...) ma chissà quanto si arrabbia perché sua signoria sa che ai tuoi occhi non ce n’è un’altra come la tua duchessa». La cosa interessante è che il destinatario, oltre a non essere il promesso sposo né il marito di nessuna delle due, è un alto prelato, il cardinale Ascanio Colonna (1560-1608), membro di una potente famiglia italiana.
Mentre era studente in Spagna, intorno al 1580, conobbe le autrici di queste lettere incandescenti, ma il rapporto con loro proseguì, a quanto si legge in questi scritti, anche dopo la sua ordinazione.
Non erano solo due, tuttavia, le donne che amavano il cardinale.
Abbiamo le prove che quest’uomo di Chiesa mantenne una corrispondenza parallela, tra il 1586 e il 1608, con almeno cinque donne spagnole, probabilmente nobildonne sposate, in qualche caso delle religiose. Tutte si firmavano con pseudonimi tratti dai romanzi pastorali, molto popolari in quel periodo: Dórida, Lisarda, Marfira, Ninfa Castalia e Henarda, pastora dell’Henares. E lui rispondeva a tutte con lo stesso fervore. «Amami (...) perché da parte mia, assente e senza aver goduto di voi in questo inferno di assenza in cui vivo, so di non conoscere quasi altra gloria», scrive a Dórida nel 1588. E sempre a lei, in un’altra lettera del medesimo anno, scrive con gelosia: «Per ripagarvi con la stessa moneta per quanto mi dite del desiderio del vostro nuovo corteggiatore, sappiate, amica mia, che andando a trovare una signora che si può considerare vostra pari, nel salutarmi mi supplicò raccomandandomi molto una cameriera sposata di mia madre (...) Tornato a casa, ricevetti un messaggio da questa donna, mia cameriera, in cui diceva che aveva bisogno di parlarmi. Le dissi di venire e lei finì col dirmi che quella signora (...) voleva venire a dormire nella mia stanza».
Sembra letteratura, fa pensare ai messaggi che si scambiano gli amanti nelle commedie del Siglo de Oro, ma non è così. Si tratta di un gran numero di lettere d’amore inedite, molto interessanti per ciò che ci dicono della vita privata delle donne nel XVI secolo, scoperte per caso da una ricercatrice spagnola, Patricia Marín Cepeda, in un monastero vicino Roma. Tutto ebbe inizio nel 2007. Marín, appena laureata in filologia, raccoglieva informazioni per la sua tesi di dottorato sui rapporti di Cervantes con politici e intellettuali del suo tempo.
Aveva trovato molti documenti negli archivi spagnoli, ma quasi nulla su colui che fu il primo mecenate dello scrittore, ovvero il nostro cardinale, al quale dedicò il suo romanzo La Galatea. Si recò dunque in Italia per fare delle ricerche direttamente nell’archivio della famiglia Colonna, conservato nel monastero benedettino di Santa Scolastica (a Subiaco, provincia di Roma). «Ricordo — ci ha raccontato a telefono la ricercatrice — che non avevo tante speranze di trovare qualcosa su Cervantes che non fosse già stato studiato, e di essere poi rimasta stupita da questa bellissima abbazia e dalla sua enorme biblioteca: tra tante altre carte, lì ho trovato 20mila lettere di Ascanio Colonna. Mi ha subito colpito il fatto che un gruppo di quelle lettere, circa 500, fosse catalogato a parte». Quando le ha esaminate, ha capito il perché: erano lettere d’amore, cosa che in teoria un alto prelato non poteva permettersi, almeno pubblicamente. Erano scritte in spagnolo e molte — quelle firmate con pseudonimi femminili — avevano una calligrafia illeggibile. Le donne scrivevano peggio degli uomini nel Siglo de Oro? «In generale, la calligrafia femminile dell’epoca è più difficile da capire. Bisogna ricordare che non ricevevano una formazione, non era ben visto che le donne fossero brave nella scrittura perché potevano usarla per rispondere a dei corteggiamenti sconvenienti.
Gli scritti della principessa di Eboli, per esempio, sono quasi illeggibili, noi ricercatori ci siamo rovinati gli occhi per cercare di decifrarli», afferma Marín Cepeda. La ricercatrice in quel momento non poteva dedicarsi a uno studio attento di queste lettere perché erano estranee alla sua ricerca su Cervantes, ma non smise di pensarci. Dieci anni dopo, ha ottenuto una borsa di studio Leonardo per decifrarle. «Spero di poter scoprire i dettagli di quei rapporti, chi fossero veramente queste donne, come fosse la loro vita privata e anche quella del cardinale», spiega. La ricercatrice spera anche di contribuire agli studi sulla scrittura femminile nel passato, un argomento ignorato dagli studiosi fino a poco tempo fa. Il titolo del suo progetto è una dichiarazione di intenti,Donna vestita di giallo che scrive una lettera, che è anche un dipinto di Vermeer che raffigura una donna nell’atto, trasgressivo nel XVII secolo, di prendere la penna.
Ciò che rende preziose le lettere è che non sono un’opera letteraria, ma esprimono i sentimenti reali di donne reali del Siglo de Oro. «Non esistono molti documenti in proposito, in primo luogo perché le donne scrivevano poco e in secondo luogo perché in genere ciò che scrivevano non esprimeva la loro sfera più intima», spiega Marín Cepeda. «Certo, — aggiunge — sono fortemente influenzate dalla letteratura romantica del tempo, da tutti quei luoghi comuni dei romanzi di cavalleria e pastorali che a loro piacevano tanto, ma tra queste figure retoriche sono sicura di trovare espressioni più autentiche e personali». La corrispondenza serviva anche per scambiarsi dei doni. Tutto ciò che entrava in una busta poteva diventare un regalo.
Per esempio il cardinale reclama, in una delle sue lettere, la ciocca di capelli che Dórida gli ha promesso. E, in un’altra, la ringrazia per la croce ricevuta in cambio del rosario che le ha mandato. «Era anche comune inviare piccoli ritratti portatili dipinti a olio, a forma di medaglione, se vogliamo... una sorta di selfie di allora», nota Marín Cepeda. Si può già vedere che, nella Spagna dell’Inquisizione, la vita fremeva e non solo nelle commedie di cappa e spada.
©EL PAIS/ LENA
 Traduzione di Luis E. Moriones