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 2018  agosto 01 Mercoledì calendario

Fatty Arbuckle, l’idolo dei bambini, è un maniaco che uccide le donne?

«Sorridi!». Il rumore dei flash sembra quello di una sparatoria in un film western. «Sorridi, Fatty! Sorridi!». A guardare la scena quasi un secolo dopo, forse il senso della storia è in questo dettaglio: ma come fanno tutti quei fotografi a chiedergli di sorridere? Roscoe «Fatty» Arbuckle, il secondo attore più famoso al mondo dopo Charlie Chaplin, è appena uscito dalla centrale di polizia. Ha lo sguardo perso nel vuoto. Un attimo dopo, due agenti lo prendono per le braccia per condurlo al carcere di San Francisco. Solo due settimane prima quel gigante con la faccia da bambino aveva firmato un contratto con la Paramount da un milione di dollari all’anno, adesso però quei soldi non gli servono a niente: chi è accusato di omicidio di primo grado non può essere rilasciato su cauzione. E rischia la sedia elettrica.
Nella stanza 1219Sei chili alla nascita, 120 al primo provino, Arbuckle aveva conquistato subito registi e spettatori, soprattutto i più piccoli, grazie alla sua straordinaria agilità. Memorabili le torte in faccia che sapeva prendere e lanciare anche due alla volta. Orfano di madre a 12 anni, il padre alcolizzato, da ragazzino aveva esordito nel vaudeville, esibendosi in tournée in Cina e Giappone; ma sono le comiche del cinema muto a renderlo una stella. Quando il 3 settembre del 1921 decide di lasciare Los Angeles per festeggiare in compagnia il ponte del Labour Day a San Francisco, a New York ci sono sei diversi suoi film in cartellone. Il suo allievo più brillante sul set, diventato anche il suo migliore amico, Buster Keaton, lo ha invitato a passare un fine settimana di relax al lago, ma Fatty ha risposto di no: vuole fare baldoria. Nella sua fuoriserie, una Pierce-Arrow 66, ha nascosto 20 bottiglie di alcolici; altre ne potrà sempre procurare in albergo, perché è vero che sono gli anni del Proibizionismo, ma è anche l’età del jazz.
Con le sue 629 camere il St. Francis è l’albergo più grande della West Coast, oltre che il più lussuoso; ha un’orchestra privata, che si esibisce nel mezzanino; un telefono in ogni stanza; come chef, il francese Victor Hirtzler, già cuoco personale dello zar Nicola II; tra i suoi ospiti più affezionati può vantare il tenore Enrico Caruso, l’ex presidente degli Stati Uniti Theodore Roosevelt e Cecil B. DeMille, regista (due volte) dei Dieci Comandamenti. Arbuckle fa prenotare tre enormi stanze comunicanti all’ultimo piano: la 1219, la 1220 e la 1221.
La mattina del 5 settembre nella camera 1220 ci sono decine di persone. Si beve champagne, si danza sul tavolo accompagnati dal fonografo Victrola. Al party, sono riusciti a intrufolarsi anche Virginia Rappe, 30 anni, già vista al cinema in un paio di ruoli di secondo piano; il suo «agente» Al Semnacher; e la loro comune amica Bambina Maude Desmond, già condannata per sfruttamento della prostituzione, bigamia, ricatto ed estorsione. 
Alle 3 del pomeriggio Rappe entra nella stanza 1219. Arbuckle la segue: vuole semplicemente andare in bagno, racconterà agli inquirenti. Dieci minuti dopo esce per chiedere aiuto: la ragazza è distesa sul letto, ha un forte mal di pancia, come delle convulsioni. «È solo ubriaca, datele del bicarbonato», taglia corto il medico chiamato nella stanza. «Quel mostro l’ha violentata», racconterà a tutti i giornali Desmond. L’indomani, mentre torna a Los Angeles, Arbuckle non sa nemmeno che Rappe sta per essere ricoverata in ospedale. Morirà di peritonite quattro giorni dopo. 
Disgrazie altruiI giornali creano attorno a quanto è accaduto nella stanza 1219 una leggenda nera degna degli incubi del Santuario di William Faulkner. Chi narra di percosse, peraltro non confermate dall’autopsia, chi di uno stupro con una bottiglia, chi azzarda perfino che il peso di Arbuckle sopra la ragazza possa esserle stato fatale. Di fronte alle proteste di Buster Keaton l’editore dell’Examiner, William Randolph Hearst, risponde entusiasta che il suo quotidiano sta vendendo più copie del giorno in cui un sottomarino tedesco aveva affondato il transatlantico Lusitania, causando l’ingresso degli Usa nella guerra mondiale. Oltre cinquant’anni dopo Gloria Swanson, la diva del Viale del Tramonto, scriverà nella sua autobiografia: «In meno di una settimana i giornali provarono che il pubblico è molto più eccitato dal vedere le star cadere, piuttosto che dal vederle brillare. Un giorno Fatty Arbuckle era il loro comico più amato accanto a Chaplin. Il giorno dopo le stesse persone urlavano in piazza per avere la sua testa». In Germania la chiamano schadenfreude: la gioia provocata dalle disgrazie altrui.
In assenza di prove materiali l’ambizioso procuratore Matthew Brady decide di incriminare l’attore basandosi su due elementi: il racconto di Bambina Maude, testimone però così poco credibile da non essere convocata in aula; e quello di un’infermiera, alla quale la vittima avrebbe detto: «È stato Fatty a ridurmi così». Ma nemmeno questa fonte sembra al di sopra di ogni sospetto.
In primo grado, dopo 44 ore di camera di consiglio, l’imputato viene assolto. Verdetto ribaltato in appello, anche se il reato viene derubricato a omicidio preterintenzionale: la condanna è di 10 anni di carcere. La sentenza di terzo grado, il 13 marzo 1922, è l’ennesima svolta: assoluzione piena, con una lettera di scuse firmata dalla giuria: «Nei confronti di Arbuckle è stata commessa una grave ingiustizia, è stato accusato senza alcun elemento concreto. E ci auguriamo che il popolo americano riconosca la verità». Il caso Rappe resta senza un colpevole, ammesso che sia stato davvero un delitto e non una morte accidentale.
Il bene vince sempreAd Hartford, nel Connecticut, lo schermo di un cinema che trasmette le vecchie comiche di Fatty crolla sotto le spallate di un’associazione puritana. A San Antonio, in Texas, un altro schermo viene crivellato dai colpi di revolver. 
Per difendersi dall’ondata di odio che continua a crescere, Hollywood si rivolge a uno specialista: il repubblicano Will H. Hays. Il 18 aprile 1922 annuncia: «Ho ottenuto la cancellazione immediata dalla distribuzione di tutte le pellicole con Mr Arbuckle». È il primo passo verso il famigerato «Codice Hays», il regolamento di censura preventiva al quale saranno sottoposte tutte le sceneggiature fino agli anni ‘60, e che prevede, tra l’altro, il divieto di mostrare scene di nudo «e danze lascive»; il divieto di fare allusioni «alle perversioni sessuali, e in particolare all’omosessualità»; l’obbligo che chi viola la legge debba essere sconfitto e punito; insomma, l’idea di fondo è che «alla fine del film il bene vince sempre».
Passano oltre 10 anni prima dell’ultimo colpo di scena. Squilla il telefono. È il grande produttore Jack Warner, che offre ad Arbuckle la possibilità di tornare sullo schermo. Incredulo, la sera del 29 giugno 1933, Fatty esce con la moglie a cena per festeggiare la notizia; rientrato a casa, si addormenta finalmente sereno. Non si sveglierà più, stroncato da un infarto a 46 anni. Le sue ceneri vengono disperse nel Pacifico. Intervistata dal New York Times nel 2000, poco prima di andarsene a 97 anni, sua moglie, Addie Shelton, lo ha ricordato così: «È morto felice. Aveva accanto una donna che lo amava, stava per ricominciare a lavorare. In fondo, tutto quello che voleva nella vita era far sorridere la gente».