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 2018  agosto 01 Mercoledì calendario

Carta e batteri, l’inventore che svela la fine degli scrittori

I registri delle vittime della peste di Milano del 1630. Il manoscritto di uno dei grandi romanzi del Novecento. La camicia di un drammaturgo morto a soli 44 anni. Una lettera di un cronista di guerra e scrittore a un amico russo. Carta, vecchia di secoli o di decenni. Cotone. Grazie a una tecnica rivoluzionaria, oggi un foglio di carta o un frammento di tessuto possono raccontare molto. E risolvere misteri.
Lo scienziato israeliano Gleb Zilberstein è un inventore ma anche, per forza di cose, è diventato detective. Rintraccia batteri, tracce di Dna, di metalli pesanti in reperti che la sua tecnica riesce a non distruggere o contaminare o quantomeno degradare. Può insomma analizzare campioni storici preziosi senza fare alcun danno, per la gioia degli archivisti e degli storici. 
Zilberstein risolve misteri. A Milano ha presentato l’anno scorso le sue conclusioni sulla peste del 1630, ha confermato la diagnosi di tubercolosi che era stata fatta al drammaturgo Anton Cechov, che di quella malattia polmonare morì. Ha provato che Mikhail Bulgakov, autore de Il maestro e Margherita, soffriva di una grave malattia renale proprio analizzando il manoscritto del suo libro più famoso. E ora ha risolto un altro mistero. Si sapeva che George Orwell aveva sofferto fin da ragazzo di problemi polmonari: una malformazione bronchiale lo rendeva particolarmente suscettibile alle infezioni delle vie respiratorie e dai tempi della scuola ricordava di essere stato soggetto a fortissimi attacchi di tosse. Si ammalò, nel corso dei suoi viaggi, di febbre dengue, e la permanenza in Birmania – raccontata nel suo libro Giorni in Birmania – lo portò in un clima assolutamente controindicato per i suoi problemi di salute. Orwell si ammalò più volte anche di polmonite, ma è la tubercolosi il quesito sul quale i biografi si sono interrogati più di frequente.
Zilberstein è riuscito a procurarsi una lettera scritta da Orwell nel 1937, dieci anni prima della diagnosi di tubercolosi, malattia che lo uccise nel gennaio 1950, a soli 46 anni. 
Così Zilberstein è riuscito a dimostrare, grazie alle tracce del batterio nella carta di una lettera che Orwell inviò a un amico russo – poi ucciso dalla polizia politica sovietica – che lo scrittore inglese si era infettato in ospedale, durante la guerra civile spagnola, quando era stato colpito al collo da un proiettile. Le condizioni igieniche molto precarie – ha spiegato Zilberstein – dell’ospedale o del cibo contaminato sono le cause più probabili dell’infezione che, undici anni più tardi, uccise l’autore di La fattoria degli animali e 1984.
La guerra civile spagnola fu l’ultimo conflitto, ha spiegato Zilberstein al Times di Londra – combattuto prima che la penicillina, scoperta nel 1928, diventasse un farmaco di uso comune. Il tasso di infezioni contratte negli ospedali spagnoli era altissimo.
Nella carta della lettera Zilberstein ha anche trovato tracce di morfina, che doveva essere stata somministrata a Orwell dopo il ferimento al collo. 
Il Times di Londra ha interpellato uno dei biografi di Orwell più rispettati, D.J. Taylor, per chiedergli un’opinione sulle scoperte di Zilberstein: «Non mi sorprende che Orwell abbia contratto la tubercolosi in Spagna nel 1937, anzi. All’inizio del 1938 stette male al punto da essere portato in ospedale in ambulanza, con terribili emorragie polmonari. Ci mise moltissimo tempo a ristabilirsi». 
Nel 1947, in Scozia, dove si era rifugiato a scrivere, le sue condizioni peggiorarono rapidamente, e nella primavera del 1947 scrisse al suo editore londinese che «da gennaio sono in condizioni pessime, sempre per colpa dei polmoni». A quel punto, grazie agli antibiotici, riuscì a completare il romanzo l’anno seguente. Era 1984.