il Giornale, 1 agosto 2018
L’italiano che guida i robot su Marte: «Faranno da apripista all’arrivo dell’uomo»
Per un bimbo che sogna di guidare i Rover su Marte, nascere a Rovereto può aiutare... Ma non è certo sufficiente, come sa bene Paolo Bellutta che i tre Rover (Spirit, Opportunity e Curiosity) attualmente in circolazione sul Pianeta Rosso li guida davvero.
Bellutta, 59 anni, sposato, due figli, laureato in Fisica e Informatica, è un’eccellenza che inorgoglisce l’Italia.
La sua è una storia speciale; lui è un personaggio speciale. Inevitabile quindi il feeling che si è creato con gli – altrettanto speciali – ragazzi B-Livers che sul loro mensile Il Bullone hanno pubblicato un appassionante reportage sull’attività di spaziale di Bellutta. Una testimonianza professionale perfetta per dei giovani abituati a volare alto.
Il motto dei B-Livers (un meraviglioso gruppo di giovani che combatte gravi patologie croniche) è «Essere, credere, vivere in un mondo migliore»: gli stessi valori che animano l’esistenza di Bellutta e lo hanno portato fino alla NASA a Pasadena dove, dal Jet Propulsion Laboratory, pilota quelle specie di «fuoristrada» ipertecnologici che hanno il compito di trovare tracce di vita e, chissà, un giorno fare da apripista all’arrivo dell’uomo sul Pianeta Rosso.
È anche merito delle informazioni fornite dai Rover telecomandati da Bellutta se scienziati italiani hanno potuto individuare nei giorni scorsi il primo «lago d’acqua» marziano.
Professor Bellutta, partiamo proprio da questa scoperta eccezionale fatta dai nostri ricercatori. Ne è rimasto sorpreso?
«Non troppo».
In che senso?
«Anche in Italia abbiano teste finissime che vanno tenute strette».
Lei però da 20 anni è via dall’Italia. Appartiene alla cosiddetta categoria dei «cervelli in fuga». Tornerebbe?
«Ho lavorato in Italia una decina di anni prima di sbarcare negli Stati Uniti e tornerei molto volentieri, anche se realisticamente alla mia età è difficile».
Com’è riuscito a entrare nell’esclusivo staff NASA?
«Quasi per caso. Ho semplicemente spedito il curriculum».
L’approccio meritocratico da parte della cultura americana rappresenta un modello virtuoso. In Italia le cose vanno diversamente...
«Il mercato del lavoro in USA per certi versi funziona forse un po’ meglio di quello in Italia ma c’è comunque il rovescio della medaglia».
Cioè?
«Difficoltà personali come grandi malattie o difficoltà economiche possono portarti nel giro di pochi mesi a vivere sulle panchine o peggio».
Lei guida i robot su Marte. È il mestiere che sognava di fare fin da piccolo?
«Da piccolo non sapevo neanche cosa fossero i robot, ma in un certo senso sì: è un lavoro in cui mi ingegno ed è quello che sognavo di fare. Imparare, capire e vedere nuove cose era quello che mi piaceva quando ho iniziato alle elementari a smontando vecchie radio o altri attrezzi (con somma preoccupazione dei miei genitori)».
Quanto conta la divulgazione in un settore come il suo?
«È essenziale condividere le scoperte e le avventure in campo scientifico con il pubblico. Io e i miei colleghi siamo impegnati a raccontare le cose che facciamo al pubblico, soprattutto studenti. Personalmente cerco di collaborare il più possibile con scuole e università. È da qui che usciranno gli scienziati del futuro».
Una domanda impegnativa: il rapporto scienza-religione resta uno dei grandi enigmi dell’uomo. Cosa ne pensa?
«È una relazione paragonabile a un mare di sacchetti che spostiamo dal lato dello sconosciuto al lato delle cose che capiamo».
Tesi suggestiva. La illustri meglio.
«Talvolta le spiegazioni che diamo alle cose sono errate e prima o poi siamo costretti a spostarle all’indietro tra le cose che non capiamo. Ma la cosa che fa andare avanti l’umanità è quella di aggiungere più sacchetti possibile dal lato delle cose che capiamo».
L’uomo porrà mai l’impronta del piede su Marte, così come ha fatto sulla Luna?
«Noi forse non faremo in tempo ad assistere a una scena tanto fantastica. Ma è solo questione di tempo. E il sogno si realizzerà. Per i nostri nipoti sarà un risveglio bellissimo».