La Stampa, 31 luglio 2018
Uragani, balene e cannonate: l’impresa della Magenta rivive nel diario del nostromo
Uragani, tempeste, cannonate, branchi minacciosi di balene: lo straordinario viaggio intorno al mondo della pirocorvetta Magenta, di cui ricorrono i centocinquant’anni, rivive grazie al diario di bordo del nostromo di prima classe Giuseppe La Greca, un marinaio eoliano che dal piccolo arcipelago siciliano s’era mosso, animato da forte senso d’avventura, per partecipare alla prima circumnavigazione del globo tentata da una nave della Regia Marina italiana, al comando dell’ammiraglio savoiardo Vittorio Arminjon, e con un equipaggio di ben 297 uomini, presto decimato dalle infezioni e dalle malattie.
Missione diplomatica e scientifica insieme, quella della Magenta, dato che a bordo, con dignità pari a quella del comandante, erano imbarcati due famosi scienziati italiani: il direttore del Museo Zoologico di Torino, nonché senatore del Regno, Filippo De Filippi, specialista di insetti, molluschi, pesci, rettili, sanguisughe, rimasto famoso nella città in cui esercitava un’indiscutibile autorità accademica per una conferenza tenuta l’11 gennaio 1864 in cui aveva spiegato ai torinesi, con argomenti convincenti, che anche loro, come più in generale l’uomo, discendevano dalle scimmie. E il suo allievo etnoantropologo Enrico Giglioli, docente a Firenze, passato dagli studi sugli animali a quelli sulla specie umana, con cui condivideva la passione per le teorie evoluzioniste di Darwin. L’idea era di spingersi verso il Giappone e la Cina per esaminare da vicino la fauna e le tradizioni culturali e ambientali del continente asiatico, stipulando con i due Paesi, cosa che avvenne, trattati di cooperazione e collaborazione scientifica.
Febbre tifoidea
Sfortunatamente, De Filippi, appena giunto a Hong Kong dov’era stato accolto con tutti gli onori, dopo un primo incontro con le autorità locali, si ammalò di una febbre forse tifoidea e morì il 9 febbraio 1867, a un anno dalla partenza. Toccò a Giglioli riportare in patria la cospicua dote raccolta negli 870 giorni di crociera, consistente in 5986 spoglie di animali appartenenti a oltre duemila specie, che andarono ad arricchire le collezioni più importanti del Museo di Scienze naturali di Torino e del Museo Zoologico «La Specola» di Firenze. Ma il più importante risultato conseguito dall’equipaggio della Magenta restò l’aver realizzato per la prima volta un giro del mondo a vapore e a vela, spingendosi su rotte mai sperimentate dalla marineria italiana del tempo.Oggi che velisti come Soldini solcano gli oceani in solitario fa una certa impressione rileggere le pagine vergate a mano dal nostromo La Greca e riesumate da un suo omonimo pronipote, appassionato storico delle Eolie. La nave prende il largo da Montevideo, diretta all’isola di Giava, il 2 febbraio 1866; e già nei primi dieci giorni di navigazione va incontro a due tempeste, che mettono a dura prova la ciurma. «Era quasi impossibile restare in coperta con onde alte fino a dodici metri». Gli ufficiali di bordo gridavano a squarciagola i loro ordini, coperti dal rombo del vento. Alla fine, per ritrovarsi in una notte spaventosa, i marinai fischiavano a perdifiato.
Pinguini e lavandaie
Non si erano ancora ripresi, il primo marzo, quando si ritrovarono circondati «da un branco di 26 balene grigie, lunghe da sedici a venti metri»; un altro lo incrociarono ai primi d’aprile, «enormi balene verdastre lunghe anche più di trenta metri». Mentre fu interpretato come un segno di buon augurio l’incontro con i pinguini in prossimità dell’Isola di Christmas, raggiunta veleggiando dopo ottanta giorni di cielo e mare.
L’attracco a Giava, il 27 aprile, è accanto alla fregata olandese Alexander «sul cui lato destro stava formandosi un mercato galleggiante indigeno-cinese»: è il primo contatto con una diversa civiltà, da cui tutto, a cominciare dalla lingua, separa gli uomini della Magenta, mentre i due scienziati scesi a terra impostano il loro lavoro scientifico. Più avanti, a Singapore, verranno accolti da «un esercito di lavandaie bengalesi, sarti e calzolai cinesi, palombari malesi, venditori di mille prodotti».
Risalendo verso Saigon, l’aria malsana del nuovo continente farà le prime vittime: due marinai, Domenico Mais e Domenico Maggio, colpiti da malaria, morti e sepolti in mare, secondo le regole della navigazione, con una commovente cerimonia a bordo. Presto, a Hong Kong, altri tre morti di tubercolosi e la tragedia della malattia, del ricovero in ospedale e delle inutili cure, fino alla morte, del professor De Filippi.
L’Isola di Robinson Crusoe
La prua della Magenta vira verso l’Australia (in prossimità di Sydney deve fronteggiare un uragano), e poi verso il Pacifico, Perù, Cile e la romantica Isola di Juan Fernandez, dove Robinson Crusoe ispirò la sua leggenda a Daniel Defoe. Attraverso lo Stretto di Magellano arriva in Sud America, durano venticinque giorni i lavori di mappatura delle coste, e finalmente, alle viste della Baia di Montevideo, il giro del mondo è completato: dopo 683 giorni di navigazione, la nave ha fatto ritorno il 17 dicembre 1867 nel porto da cui era salpata.
Il resto della missione, fino al 27 marzo successivo, servirà a raggiungere Napoli. Ma, sorprendentemente, la Magenta che era stata accolta nel mondo dovunque con salve di cannoni e alzabandiera (e una volta aveva riservato una cannonata vera all’equipaggio sbadato di un brigantino inglese), in Italia ormeggia nell’indifferenza generale. Il patrimonio scientifico riportato a casa dal professor Giglioli avrà pieno riconoscimento nelle aule universitarie. Alla ciurma dei sopravvissuti, che prendono la strada di casa alla fine della loro odissea, invece, neppure un grazie.