La Stampa, 31 luglio 2018
Jacopo Gassmann: «La mattina studio, il pomeriggio produco. Così preparo la prima regia al Piccolo»
Chiamarsi Gassmann, fare teatro e sul palcoscenico non salirci mai: «Anche se ogni tanto la tentazione si affaccia. Poi, però, subentra una specie di pudore legato al mio carattere. Sono un riflessivo, il mio istrionismo è tutto interiore».
Jacopo, 38 anni, nella voce e nel taglio dello sguardo tutta l’eredità di famiglia, è il minore dei Gassmann, figlio di Vittorio e di Diletta D’Andrea. Dopo gli studi a New York e a Londra («Ma prima - racconta - c’era stato un liceo a Roma di quelli tosti, il Visconti: come un classico italiano non c’è nulla al mondo»), ha scelto dunque il mestiere di regista, con una predilezione speciale per i testi contemporanei.
A marzo il debutto
Su quella strada sta andando lontano: nella prossima stagione, il 21 marzo 2019 debutta a Milano con uno spettacolo prodotto dal Piccolo Teatro, ed è Il ragazzo dell’ultimo banco dello spagnolo Juan Mayorga, pièce di gran fortuna internazionale che ha dato origine anche al film Nella casa di François Ozon. E allora la sua estate è «tutta di lavoro. Sono nella fase più fertile è più caotica. Il testo adesso ha mille volti, prende mille sentieri possibili. Il suo bello sta nella stratificazione, perché è un gioco di scatole cinesi pieno di rimandi, dalle Mille e una notte a Tolstoj, a Dostoevskij, a Fitzgerald, a Melville».
Lo spunto è il rapporto fra un insegnante di liceo, interpretato da Danilo Nigrelli, e un suo allievo brillante e misterioso, Fabrizio Falco, che gli consegna un diario. Una specie di romanzo a puntate, dove racconta dei pomeriggi passati a casa di un amico. «Non sappiamo quanto il ragazzo s’inventi, e di fatto il professore ne rimane irretito. Ne viene fuori uno studio sull’immaginazione e sul suo potere seduttivo e di manipolazione, oltre che un manuale di scrittura. Dirigo un testo di Mayorga per la terza volta, dopo Animali notturni che è stato a Londra la conclusione del mio periodo formativo, e dopo La pace perpetua che ho messo in scena qui in Italia quattro anni fa, e che lui venne a vedere. Da lì nacque uno scambio di mail, poi qualche lungo pomeriggio a chiacchierare sul teatro e sulla vita. I suoi sono straordinari testi aperti, che lasciano un mucchio di domande alle quali il pubblico è invitato a rispondere. E gli attori oltre al talento devono metterci una gran creatività, per riempire i vuoti, le tracce da colorare. Quelli del Ragazzo,oltre a Nigrelli e a Falco, sono Pia Lanciotti, Mariángeles Torres, Pierluigi Corallo, Alfonso De Vreese».
Ferite ancora aperte
Dunque in questa estate Jacopo si alza presto e, dopo il caffè, per quattro ore secche si mette a studiare: «Sto raccogliendo un archivio di autori contemporanei di cui vado orgoglioso, leggo e scopro testi meravigliosi da tutto il mondo», ed è un vizio bellissimo imparato quando lavorava a Londra, presso un dipartimento di scrittura, perché «negli autori che si confrontano con le questioni irrisolte e le ferite ancora aperte trovo una grandissima vitalità». Poi via col lavoro sul Ragazzo, «ma se le dicessi come me lo sto immaginando ora tradirei quello che prenderà vita fra qualche mese. Di sicuro giocheremo fra realtà e finzione, con spazi che alludono ad altri spazi e un montaggio quasi cinematografico del testo, con ellissi continue. Sarà anche necessario un luogo tra il vero e il non vero, in cui compaiano le cose e le persone raccontate dal ragazzo. Arrivare al Piccolo, comunque, mi fa sentire emozionatissimo».
Tanto più visto il suo cognome. Ha un senso il fatto che lei, con un padre così, abbia imboccato la strada della regia e non quella della recitazione?«Semmai il mio bivio è stato fra la regia e la scrittura per il teatro. Per un periodo ho anche ipotizzato un percorso accademico classico, da professore universitario». È anche un modo per prendere le distanze da quel modello per forza ingombrante, però facendo fiorire una tradizione familiare? «Grazie al cielo riesco abbastanza a guardarmi dentro. Ho cercato di elaborare il fatto di arrivare dalla famiglia da cui vengo, finendo per considerarla come un gran fortuna. Un privilegio, punto».
«L’ho perso a vent’anni»
Ma Vittorio per molte cose non fece in tempo: «L’ho perso a vent’anni, le mie regie non le ha viste. Venne a trovarmi al primo anno di università a New York, mentre stavo decidendo di studiare regia, quando pensavo che la mia strada sarebbe stata il cinema. Decisione condivisa, come quella di partire per gli Stati Uniti. Mio padre mi ha sempre lasciato la libertà più totale. E, che ci creda o no, non mi ha mai imposto in alcun modo di fare teatro».