il Fatto Quotidiano, 31 luglio 2018
Matematici da olimpiade
Si apre il 1 agosto a Rio de Janeiro il Congresso Internazionale dei Matematici: una sorta di Olimpiade della matematica, che si tiene appunto ogni quattro anni in punti diversi della sfera terrestre. Le due manifestazioni sono praticamente coeve, essendosi tenuti i primi Giochi Olimpici moderni ad Atene nell’aprile 1896, e il primo Congresso Internazionale a Zurigo nell’agosto 1897.
Ed entrambe le manifestazioni assegnano un ristretto numero di ambiti premi, il più noto dei quali è per i matematici la medaglia Fields, sulla quale torneremo.
A differenza dei Giochi Olimpici, però, è forse difficile capire cosa ci possa essere di appassionante per il pubblico in un raduno di intellettuali: a parte ovviamente i pettegolezzi sui divertimenti canonici, facilmente immaginabili, che sono stati ironicamente o satiricamente descritti da David Lodge nei fortunati romanzi Scambi e Il professore va al congresso (Bompiani, 1991 e 1994). Ma, come non è necessario essere sportivi per appassionarsi alle gare olimpiche e tifare per i propri atleti (anzi, meno si è sportivi e più si è tifosi, e viceversa), non è necessario essere matematici per osservare dagli spalti le acrobazie intellettuali dei protagonisti e appassionarsi alle avventure dei loro raduni.
Ad esempio, il secondo congresso si tenne a Parigi nel 1900, in concomitanza con la memorabile Esposizione Universale, e nella prolusione di apertura il matematico tedesco David Hilbert elencò una serie di problemi aperti che avrebbero dato filo da torcere ai suoi colleghi per l’intero secolo. Alcuni rimangono ancora aperti anche oggi, e il più famoso è la cosiddetta ipotesi di Riemann, alla quale è dedicato il fortunato L’enigma dei numeri primi (Rizzoli, 2004) di Marcus du Sautoy: un libro recensito entusiasticamente a suo tempo da Umberto Eco, che disse di averlo letto sulla spiaggia, forse conscio del fatto che l’enigma sarebbe rimasto tale anche se l’avesse letto nella biblioteca di casa.
Il primo problema della lista di Hilbert era invece l’ancor più famosa ipotesi del continuo, proposta in origine dal matematico tedesco Georg Cantor: uno dei due ideatori dei Congressi Internazionali, insieme al collega e compatriota Felix Klein. Al secondo congresso, che si tenne a Heidelberg nel 1904, il matematico ungherese Gyula König annunciò di aver refutato l’ipotesi di Cantor, e i lavori furono sospesi perché tutti potessero andare a sentire la sua conferenza. La notizia finì sui giornali, ma l’anno dopo la dimostrazione si rivelò sbagliata, e la vera soluzione dovette attendere sessant’anni: fu trovata nel 1963 da Paul Cohen, che per questo vinse la medaglia Fields a Mosca nel 1966.
Il premio prende il nome da John Fields, il matematico canadese che organizzò il congresso di Toronto del 1924, ma venne assegnato per la prima volta nel 1936 al congresso di Oslo, e per la seconda volta nel 1950 al congresso di Cambridge: negli anni intermedi non furono tenuti congressi, a causa della Seconda Guerra Mondiale, così come non c’erano stati fra il 1912 e il 1920, a causa della Prima. Nel frattempo, e paradossalmente, i matematici avevano perso il conto di quanti congressi internazionali erano stati tenuti: nel 1920 e nel 1924 i governi dei vittoriosi Alleati avevano infatti impedito, poco sportivamente, la partecipazione dei matematici delle perdenti Potenze Centrali. Quei due congressi non erano dunque veramente internazionali, e in seguito la vergogna per un tale comportamento suggerì di dimenticarli, e si smise di assegnare ai successivi un numero progressivo.
Quella non fu però l’unica volta in cui la politica intervenne, nel bene o nel male, a segnare un congresso. Nel 1950, ad esempio, i maccartisti statunitensi cercarono di impedire la partecipazione al matematico francese Laurent Schwartz, che doveva ritirare la medaglia Fields a Cambridge, perché era considerato filocomunista: dovette intervenire il presidente Truman in persona, per sbloccare la situazione. Viceversa, nel 1970 e nel 1978 fu l’antisemitismo sovietico a impedire a Sergei Novikov e Grigory Margulis di recarsi a Nizza e Helsinki a ritirare la proprie medaglie Fields. Nel 1966, invece, fu il matematico statunitense Stephen Smale a essere arrestato a Mosca dopo aver ricevuto la medaglia Fields, perché in una conferenza stampa improvvisata sulle scale dell’Università aveva criticato gli interventi militari americani e sovietici in Vietnam.
A proposito, di medaglie Fields ne vengono quasi sempre assegnate quattro in ogni congresso, con una media di una all’anno, e più raramente soltanto due. Per vincerla bisogna aver ottenuto qualche risultato memorabile prima dei quarant’anni: in origine, infatti, la medaglia era stata pensata come un premio di incoraggiamento per i giovani, anche se poi in seguito ha assunto lo status e il prestigio di un Nobel o di un Oscar. Comunque, la limitazione dell’età non fa poi una gran differenza: come disse il matematico inglese Godfrey Hardy nella sua Apologia di un matematico (Garzanti, 2002), “la matematica è uno sport da giovani”. Ma forse tutti gli sport sono fatti per i giovani, anche perché bisogna essere e rimanere immaturi per lasciarsi attrarre dall’agonismo e dalla competitività.
L’unico caso eclatante in cui la limitazione dei quarant’anni è risultata determinante è stato quello del matematico inglese Andrew Wiles, che nel 1993 annunciò di aver dimostrato il secolare ultimo teorema di Fermat. Anche lui finì sulle prime pagine dei giornali del mondo intero, per poi accorgersi, come König, che aveva fatto un errore. A differenza di König, riuscì a correggerlo due anni dopo, nel 1995: troppo tardi, però, perché era nato nel 1953. Al congresso di Berlino del 1998 non ricevette dunque la medaglia Fields, ma una targa ancora più speciale, e fino ad ora unica nella storia.
Come il premio Nobel o il premio Oscar, anche la medaglia Fields ha avuto il suo Bob Dylan o il suo Marlon Brando, che l’ha accettata, ma si è rifiutato di andare a ritirarla: il matematico francese Alexander Grothendieck, che boicottò il congresso di Mosca del 1966 per motivi politici. E ha avuto anche il suo Jean Paul Sartre o il suo Woody Allen, che l’ha semplicemente rifiutata: il matematico russo Grigori Perelman, che dopo il congresso di Madrid del 2006, al quale ovviamente non partecipò, ha fatto perdere le sue tracce.
Ovviamente, delle medaglie Fields sarebbe interessante dire perché l’hanno vinta, ma questo supera spesso le possibilità della divulgazione. Al congresso di Amsterdam del 1954, però, una mostra di suoi quadri fece conoscere l’artista olandese Maurits Escher ai matematici, che se ne innamorarono. E qualche anno dopo, nel 1959, lui li ripagò illustrando in Cerchio limite III uno degli storici modelli della geometria euclidea pubblicati da Eugenio Beltrami nell’agosto 1868, esattamente centocinquant’anni fa. Il matematico italiano aveva trentatré anni: se all’epoca ci fosse stata la medaglia Fields, l’avrebbe sicuramente vinta. Ma il quadro di Escher costituisce piuttosto un tardivo analogo della targa speciale ricevuta da Wiles, e realizza il sogno di qualunque matematico, di veder divulgato sublimamente il proprio lavoro in maniera comprensibile a tutti, o almeno percepibile da tutti.