Che Tour è stato? Uno in più, e sono a 33. Ne ho visti di migliori (molti) e di peggiori (non molti). Questa volta è più frequentato il dibattito su come rendere più interessante la corsa.
Che, nei commenti più comprensivi, è nata compressa dal mondiale russo, ha pagato il confronto, non voluto ma inevitabile, con i francesi campioni del mondo mentre qui si accontentavano di Alaphilippe (7,5) e briciole minori. Poi, ha pagato il dilagare dell’affaire Benalla. Come avrebbe detto il collega Lenin: che fare? Qualcosa il Tour aveva provato a fare. Tappe più corte, esperimento riuscito: 7.
Partenza tipo Formula uno: inutile e ridicola, 2 . Ritorno degli abbuoni nelle tappa di montagna: stimolante ma alla lunga ininfluente: 5. Quanto alla diminuzione degli effettivi di ogni squadra, passati da 9 a 8, non è servita a diminuire il numero delle cadute né a livellare i rapporti di forza tra le singole squadre.
Oppure sì ma solo in caso di iella: Bardet perde per caduta i due gregari più forti in salita, Domont e Vuillermoz, prima delle salite.
Più che livellato, il rendimento dell’Ag2r è dimezzato. Dignitoso, 6, non di più Bardet. Passando da un Bar all’altro, disastroso Barguil (2). Così la Francia s’è innamorata di Julien Alaphilippe, pizzetto alla Pantani, aria guascona, caratteristiche da combattente.
Le due tappe di montagna valgono più della maglia a pois portata a Parigi. Quando un ciclista in Francia è popolare?
Quando il pubblico lo battezza Poupou, Pinpin, Jaja, Vivi, che stanno per Poulidor, Pingeon, Jalabert, Virenque. Si può fare anche con i calciatori: Griezmann è Grigri. Alaphilippe è Juju, dal nome. Alala non suonava troppo bene. Che fortuna Bottecchia, Bartali, Coppi, Nencini e anche Pantani, che nessuno ha mai chiamato Bobo, Baba, Coco, Nene e Papa (accento sull’ultima, mi raccomando). Tornando alle cadute, hanno tolto di mezzo tre da zona alta, se non da podio: Porte, Uran, Nibali. Auguri (7) a loro e agli altri: Gilbert, Craddock.
Voti in zona alta: Thomas 9,5, Dumoulin 8,5, Froome , Roglic e Kruijswijk 7,5.
Altri suggerimenti sui social network, anche se il primo più che un suggerimento è un augurio: "Basterebbe che nascesse un altro Hinault, un altro Fignon, e ci divertiamo". Sì, ma probabilmente lo ingaggerebbe la Sky di turno, perché in Francia i budget sono limitati. La Fortuneo, al di là del nome non fortunata con Barguil, se la cava con 3,5 milioni di euro, Froome ne guadagna 6 all’anno. Di che stiamo parlando? Oppure questo nuovo Hinault, questo nuovo Fignon dovrebbe essere un impasto di Spartaco, Giovanna d’Arco, Harry Potter, Asterix (ma la pozione del druido?), Edith Piaf e Victor Hugo. Secondo altri, basterebbe che Brailsford non fosse gallese ma bretone.
Altri dicono che ci vorrebbe una bella tappa di montagna nei primi sei giorni, per rompere la monotonia degli sprint e obbligare chi è staccato ad attaccare. Suggestivo, ma non è detto che funzioni. La mentalità e, di qui, il comportamento dei corridori può spianare le montagne, percorrendole a ritmo non elevato e riservando gli attacchi per l’ultimo chilometro.
Altri ancora chiedono un ritorno alla formula per squadre nazionali. Che non tornerà mai, visti gli interessi dei club, ma anche tornasse non basterebbe a far vincere un francese.
Servirebbe solo a moltiplicare i focolai di sciovinismo, già in questo Tour a livello di guardia.
C’è poi una corrente che chiamerò passatista, o romantica, di cui faccio parte e che, in quel minimo di sogni che mi è concesso, vedo invece all’avanguardia, liberatoria e libertaria nel suo luddismo all’acqua di rose. Distruggere no, ma correre senza oreillettes o pinganillos o auricolari, senza misuratori di watt. Dice: ma indietro non si torna, quando al Tour s’era decisa (da parte degli organizzatori) una tappa senza aggeggi (meno 5) i corridori l’hanno boicottata andando a passo d’uomo. I corridori credono di essere protetti, tutelati, ma sono schiavizzati e manovrabili a distanza come un cancello o una lavatrice. Per questo all’indietro non si torna rispondo: avanti dove si va? Il bello del ciclismo era la totale democrazia nell’accesso, come nel calcio: i piccoletti come Maradona e Messi, i lungagnoni come Van Basten e Ibrahimovic. I piccoletti come Trueba, Robic, Panizza, gli aironi come Coppi, Merckx, Indurain, e in mezzo i normolinei come Bartali. Da un po’ la selezione non è solo sulla base dei quattrini, ma del fisico.
Per vincere il Tour bisogna essere alti almeno 1.84 e pesare sui 64/65 chili. Di qui si parte, poi si vedrà.
Perditempo astenersi. Se questo è il futuro, anche del ciclismo, tenetevelo pure.
Infine, una risposta a quei lettori che mi hanno sollecitato divagazioni enogastronomiche.
Come mai non ne facevo? Perché non avevo niente da dire, perché non volevo farmi compatire. Molti di quelli che hanno detto "beato te, quasi un mese in Francia" hanno forse un’idea della Francia ma non del Tour. Arrivi sempre più serali, si comincia a lavorare alle 19.15 se va bene, dopo le varie interviste e conferenze-stampa. E si mangia dove si può, non dove si vuole. Nelle grandi città non c’è problema, nella Francia profonda i ristoranti chiudono la cucina alle 21, me n’è capitato uno che chiudeva alle 20.30. Quindi, se può interessare, una sera ho proprio saltato, altre due me la sono cavata con i panini comprati la mattina in autostrada con birra calda. Per evitare prelievi indebiti, molti alberghi hanno sì il frigobar in camera, ma vuoto. Ho mangiato una pizza (ma decorosa) contro le mie abitudini a Tolosa. Ho mangiato un piatto alsaziano (Pfannekuchen) a Sarrancolin, sui Pirenei, scendendo da Saint-Lary.
Era buono. Café de France, chez Bruno. Ci hanno accolti fuori tempo massimo e nutriti bene (8 e grazie). Ho vinto un match contro uno spocchioso maître de salle in un albergo di Nantes. Vino: Saint Nicolas de Bourgueil, un rosso leggero adatto alle giornate calde.
«È fresco?». «No, signore, qui non mettiamo i vini rossi in fresco».
«Strano, per anni l’ho sempre trovato fresco». «Impossibile, monsieur». Sapevo di avere tutti gli assi in mano. Senza durezza, soavemente, gli ho detto indicandogli la controetichetta della bottiglia: «Provi a convincere loro». Loro, i produttori, avevano scritto: "Si prega di servire fresco". Non ha detto una parola, è tornato con l’occhio fosco e un secchiello di ghiaccio in mano. E niente mancia, ciccio.