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 2018  luglio 31 Martedì calendario

E Lombroso raccomandò la figlia a Carducci

Quando non prendeva in mano trapano e sega per aprire il cranio dei delinquenti, Cesare Lombroso scriveva. Scriveva lettere e ancora di più ne riceveva, perché nel tempo in cui la scienza si era illusa di poter dare risposta a ogni domanda il professor Lombroso, quello che se sei un criminale ce l’hai scritto in faccia, era una star. Lo cercavano dall’America e dall’Europa, lo invitavano a convegni, gli chiedevano di illustrare le sue teorie sull’atavismo e sulla famigerata fossetta occipitale, una specie di piccolo avvallamento alla base del cranio: si scoperchia, si leva il cervello e si cerca l’incavo: se c’è, quella è la capoccia di un assassino o di un falsario, di uno stupratore o di un ladro. «Oggi possiamo dirlo, erano fesserie ma il suo metodo no, non quel modo di porre domande che nessuno aveva mai pensato o nominare scienze che ancora non esistevano, l’antropologia criminale, la criminologia, la psichiatria forense». E se lo dice il direttore del Museo Lombroso di Torino, il professor Silvano Montaldo, non un demonizzatore dei lombrosiani, sarà vero. La notizia è che l’epistolario di Cesare Lombroso è stato appena messo in rete: oltre 2.650 lettere, biglietti, cartoline postali, minute di bozze, persino fatture di rudimentali attrezzi chirurgici sono ora consultabili online ( htpp:// lombrosoproject. unito. it).
Un groviglio districato dopo due anni di lavoro necessari a raccogliere, interpretare e digitalizzare una massa cartacea («La fortunata epoca prima di Internet», scherza Montaldo) che permetterà di approfondire meglio il pensiero e il metodo del più controverso scienziato italiano, un protagonista del positivismo, razzista e umanista insieme, medico e “poeta”.«In realtà aveva quasi tutti i torti e allo stesso tempo aveva l’intuizione senza però gli strumenti per suffragarla o respingerla – dice il direttore –. Lombroso ha fatto danni e ha portato allo stesso tempo un contributo fondamentale».
L’epistolario del professore è soprattutto un viaggio nel tempo, ma anche un modo per aprire finalmente il suo, di cranio, e sbirciarci dentro come affacciati su una balconata a precipizio. È ovviamente pieno di carteggi scientifici, un tumultuoso e appassionato grido contro il muro di scetticismo che già a metà Ottocento faceva rimbalzare indietro non poche ipotesi bislacche dell’autore de L’uomo delinquente (1876) e La donna delinquente (1893), testo terribile che tra svariate mostruosità teorizza la prostituzione come inscritta nel codice genetico e svelata, va da sé, dal volto e dalle misure del cranio. Ma andando in cerca di perle tra queste righe vergate con scrittura nervosa, zigzagante e a tratti indecifrabile (Lombroso era disgrafico, ma questo non gli impedì di scrivere un trattato di grafologia) si scoprono autentici tesori. Come la missiva che il professore inviò il 24 luglio 1888 a Giosuè Carducci, sommo poeta ma anche ispettore scolastico dopo che la figlia di Lombroso, Paola, era stata bocciata all’esame di ammissione liceale. Il medico si rivolge con sussiego al “collega e supremo giudice di Cassazione letteraria” spiegando che la ragazza era stata educata in casa, ma non per questo sprovvista di “notevole coltura letteraria”. E qui parte la stucchevole richiesta di raccomandazione: “La prego di leggere il compito di italiano respinto come insufficiente e confuso (allego copia) dai commissari del liceo Cavour. Non vorrei che l’affetto paterno m’illudesse di trovarvi le traccie (con la i, n.d.r.) di pensieri veramente civili. Se io ho torto respingetemi questo foglio con un gran punto rosso interrogativo senza perdere altro tempo. Se no – provvedete”. Purtroppo non abbiamo la risposta del Carducci né sappiamo se, alla fine, l’ispettore provvide.
Tra una fattura di lire 55 a Gilardoni Andrea, “arrotino e fabbricatore di strumenti chirurgici” e consigli d’arredamento alla moglie Nina (il professore metteva becco su tutto), ecco la meravigliosa lettera che gli inviò Edmondo De Amicis il 5 gennaio 1893. Si tratta di un appuntamento alla stazione ferroviaria di Porta Nuova, per recarsi insieme a un convegno a Milano. Scrive l’autore di Cuore: "Se non m’inganno, fatemi un favore: quando sarete alla stazione affacciatevi al finestrino del vagone: io vedrò subito i vostri simpatici occhiali e salirò con voi. Sarei lieto di fare il viaggio in vostra compagnia! Io procedo in seconda, ma voi fate il comodo vostro: il supplemento mi sarà leggiero, pur ch’io abbia il piacere di farvi discorrere per tre ore”. Dal che si evince che un noto scrittore guadagnava, a fine Ottocento, molto meno di un controverso ma affascinante trapanatore di calotte craniche.
Ma chi era, infine, il Lombroso che temeva che i tagli di certe parti scabrose nella traduzione inglese (fatta da un prete) de La donna delinquente "mi facciano perdere di popolarità”, e definiva “castrazioni” quelle pudiche censure? «Era uno scienziato di epoca primordiale», risponde il direttore del bellissimo museo riaperto nel 2009 a Torino. «Da umanista sono sconcertato, ma come studioso ne ho infinita curiosità. Indagare Lombroso non vuol mica dire essere lombrosiani. Certe sue contraddizioni affascinano sempre: era socialista, ebreo eppure razzista, avvertì il rischio dell’antisemitismo e prefigurò l’arrivo di un uomo forte e spietato. Sembra l’identikit di Hitler con 40 anni di anticipo».
Come sostiene Emanuele D’Antonio, il ricercatore che ha raccolto l’enorme massa di lettere, «molti libri di Cesare Lombroso verrebbe da gettarli nel fuoco, ma allo stesso tempo bisogna trattare con estremo rispetto alcuni passaggi sull’antisemitismo e sul delitto politico, o sul confine tra genio e follia. Con quel tipico linguaggio paradossale, Lombroso fu un apologeta dell’incontro tra culture e realtà storiche diverse come veicolo di progresso, e in questo lo trovo davvero moderno». Dunque il mistero s’infittisce perché su una cosa il professore aveva proprio torto: non esiste una risposta scientifica per ogni domanda. Però che voglia di aprire ancora quella testa come se fosse una scatola, adesso piena di vecchie lettere, e guardarci dentro.