Corriere della Sera, 31 luglio 2018
La lezione politica delle api
Nei momenti di quiete estiva mi dedico alle letture a lungo rimandate. Così ho preso in mano La democrazia delle api di Thomas D. Seeley, (edizioni Montaonda, 2017) e la sua lettura ha stimolato alcune riflessioni sulla realtà che stiamo vivendo. Questo libro insolito e appassionante ci svela il modo in cui le api trovano casa nel momento in cui hanno deciso di sciamare. Ogni primavera infatti la vecchia regina, con una parte della sua corte, lascia il suo regno per fondarne uno nuovo. Una volta presa la decisione, le api letteralmente esplodono fuori dall’arnia per raccogliersi in una grande palla ronzante appesa a qualche albero poco distante, da dove, in un tempo compreso tra pochi minuti e giornate intere, spiccheranno il volo verso la loro nuova dimora.
Come prendono il voloSpesso, vedendole sparire all’orizzonte, mi sono interrogata su cosa guidasse il loro viaggio: sapevano dove andare, oppure si muovevano a casaccio, sperando prima o poi di imbattersi in un’abitazione adatta a loro? Questo libro ci spiega appunto come avviene la scelta. Prima del trasloco, alcune operaie, nel ruolo di esploratrici, vanno alla ricerca del posto ideale, un po’ come fossero degli agenti immobiliari che selezionano le varie ipotesi da proporre al cliente. Le caratteristiche di questa nuova abitazione devono essere principalmente tre: il volume della cavità, l’altezza dal suolo e le dimensioni dell’ingresso. Per individuare quella giusta, perlustrano dunque tutti i luoghi papabili nel raggio di parecchi chilometri; queste minuscole creature, infatti, sono in grado di prendere le misure – altezza, profondità, esposizione – e di tornare nell’alveare a riferirle attraverso una danza particolare. L’ape che danza in modo più energico convince le altre della validità della sua scelta, invitandole a visitare insieme a lei il luogo individuato per valutarne le qualità. Soltanto dopo questa consultazione democratica, che può essere anche molto laboriosa, le altre esploratrici accettano la nuova soluzione e lo sciame può così prendere il volo.
In questi tempi in cui ci sembra di navigare su una barca sballottata dalle onde, l’esempio della democrazia delle api potrebbe forse aiutarci a mettere al centro il peso della zavorra e a riprendere una navigazione più stabile. Quello che sembra mancare in molte delle proposte che turbinano sui media è il principio di realtà. Per vincere tutti i mali che affliggono cronicamente l’Italia pare che l’unica soluzione possibile sia quella dell’onestà. Ma che cos’è l’onestà? Una virtù dell’animo, senza dubbio. Essere onesti vuol dire restituire il portafoglio al proprietario che l’ha smarrito, vuol dire non timbrare i cartellini degli altri sul posto di lavoro, non evadere le tasse, non cercare scorciatoie per aggiudicarsi un qualsiasi privilegio. Qualche anno fa, per creare del lavoro nella zona in cui vivo, avevo deciso di aprire un agriturismo. Chiunque abbia osato aprire un’attività in Italia saprà già il triste epilogo della mia avventura. Dopo pochi anni ho dovuto chiudere, arrendendomi all’evidenza che, nel nostro Paese, fare impresa e rispettare le leggi sono due realtà incompatibili. Se si vuole fare, ci si deve adattare al compromesso, sapere che certe porte non si apriranno mai se non con un’adeguata oliatura, consapevoli di essere vittime inermi di una burocrazia sadicamente corrotta.
Quando finalmente avremo lo stesso numero di leggi della Germania, forse potremmo essere onesti, altrimenti il mito dell’onestà diventa un’utopia pericolosa, capace solo di creare rovina.
Roma ha perso le Olimpiadi per mantenere vivo il principio dell’onestà. Sicuramente, nel corso d’opera, ci sarebbero stati appalti sospetti ma il beneficio del numero di posti di lavoro e di visibilità mondiale non sarebbe stato superiore alla seppur faticosa ma necessaria opera di vigilanza sui corrotti? Non si blocca la corruzione bloccando ogni attività, la si blocca soltanto in due modi. Semplificando e controllando. La gestione della cosa pubblica è una realtà complessa che richiede, o richiederebbe, a chi la esercita di avere come primo principio l’idea del bene comune – così come avviene nel mondo delle api – e non un concetto astratto o un qualsiasi altro furore ideologico che porta soltanto all’inasprirsi dei toni e dei contrasti.
Nel corso degli anni, varie volte mi è stato chiesto di entrare in politica ma ho sempre rifiutato perché il primo principio che osservo con assoluta devozione è quello della realtà. Il fatto che io sia una persona onesta e con buone competenze nel suo campo non fa di me una persona capace di risolvere i problemi della comunità. Non ne ho le capacità, non saprei da che parte cominciare e, se fossi un’ape esploratrice, porterei di sicuro lo sciame nella più rovinosa della dimore.
L’unica vera, rivoluzionaria e risolutiva riforma che il nostro Paese attende da decenni è l’abbattimento totale della burocrazia e un feroce sfoltimento delle leggi. Leggi che, con la loro cervellotica contraddittorietà, hanno il potere magico di paralizzare le energie degli onesti e favorire l’ascesa dei corrotti.
Il principio della realtàNel mondo delle api il principio dell’onestà non esiste, perché è saggiamente sostituito da quello della realtà. La società delle api – a differenza di quella delle formiche in cui le caste sono rigidamente prefissate – contempla un percorso di crescita per ogni esemplare. Appena nate fanno le spazzine, poi aiutano le sorelle a crescere, quindi passano a fare le guardiane sulla soglia dell’arnia e, solo nell’ultima fase della loro breve vita, vanno in giro a raccogliere il nettare e a fare le «agenti immobiliari». Sono le tappe obbligatorie che permettono alle api di reggere una società così socialmente complessa. Che cosa succederebbe se fosse mandata una spazzina a fare l’esploratrice? Probabilmente sceglierebbe una casa qualsiasi, abbagliata dalla sua pulizia e, con l’entusiasmo della sua giovinezza, tenterebbe di convincere le altre della bontà della sua scelta. Ma è proprio qui che interverrebbe la forza salvifica della democrazia, perché le esploratrici più esperte andrebbero a controllare e salverebbero così lo sciame da una morte certa. È lavorare in vista dei vantaggi futuri che permette a un Paese di essere stabile e di progredire. Bisogna avere una visione a lungo termine per migliorare in modo significativo e duraturo le condizioni di chi ci vive e lavora, altrimenti, cercando un’inafferrabile purezza, si rischia di continuare a marciare sul posto.