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 2018  luglio 31 Martedì calendario

La beffa del supplemento carburante: volare diventa sempre più caro

Il paradosso è nei dettagli. Su 342,26 euro per un volo andata e ritorno (a novembre) Milano-New York Delta Air Lines chiede 244 euro di «supplementi». Il 71,2% del costo complessivo. 
Non è un’eccezione. Da qualche settimana proprio questa che è diventata una delle voci di spesa più misteriose e contestate dei biglietti è tornata ad aumentare in modo sensibile. È quanto emerge da un’analisi del Corriere della Sera su oltre cento combinazioni di volo andata e ritorno (nazionali, europei e intercontinentali) da Milano e Roma. Oggi rispetto a gennaio 2016 il «supplemento» è più alto in media del 27,9% per chi parte dagli scali milanesi e del 28,8% per chi decolla da Fiumicino. «Una risalita iniziata prima del previsto», confermano gli esperti del centro studi australiano Capa.
Non è una novità. Il cherosene pesa per il 25-30% dei costi complessivi sostenuti dalle compagnie. Che per difendersi dalle fluttuazioni del prezzo del barile – tranne le low cost – hanno introdotto il «supplemento carburante» che oggi si fa chiamare «supplemento vettore» (che porta i codici YQ/YR). Allo stesso tempo buona parte delle aviolinee ricorre al fuel hedging, un contratto in cui si pattuisce l’acquisto di una quantità di carburante (anche il 90%) a un determinato prezzo che resta bloccato per la durata dell’accordo, in genere 12-18 mesi.
Da gennaio il petrolio è diventato più caro. Tanto da far dire a diversi amministratori delegati – riuniti lo scorso giugno a Sydney al convegno annuale della Iata – che questo avrebbe comportato biglietti più costosi. Peccato che il carburante utilizzato oggi è soprattutto quello acquistato un anno e mezzo fa quando era più conveniente del 40%.
Il risultato? Ad agosto 2018 rispetto al gennaio 2016 il supplemento è passato da una media di 188 a quasi 260 euro (+37,9%) nei voli Milano-New York-Milano, da 57 a 83,9 euro (+47,2%) dal capoluogo lombardo a Mosca e ritorno, da 30 a 63,5 euro (+111,7%) nei collegamenti con Londra. In quest’ultimo caso le particolarità non mancano: se il costo finale si somiglia, Vueling e British Airways non fanno pagare il supplemento, mentre Alitalia richiede 84,5 euro (che si riducono a 62,25 euro a ottobre). La stessa dinamica si verifica anche per chi prenota viaggi da Roma. E sono pochi i casi in cui questa voce cala.
L’argomento è sensibile. Lo dimostra anche la scarsa – per non dire nulla – voglia delle compagnie di parlare con nome e cognome. Ma dietro garanzia di anonimato spiegano un po’ di cose. «Quando il costo del petrolio variava di molto anche da un giorno all’altro il supplemento aveva un senso», confermano al Corriere i manager di tre vettori che si piazzano tra i primi 20, a livello mondiale, per passeggeri trasportati e ricavi. «Oggi quel “tesoretto” viene utilizzato anche per altri scopi». 
Non solo. Perché una società può avere anche acquistato grossi quantitativi di cherosene a cifre convenienti, «ma siccome tutti guardano le voci di costo dei biglietti degli altri basta che un rivale alzi il supplemento carburante che gli altri seguono a ruota».
Dove questo aspetto è regolato – come in Giappone – il costo è identico e le compagnie locali sono obbligate a pubblicare le variazioni: per chi prenota fino a oggi, per esempio, il supplemento per tratta va da un minimo di 3,85 euro (dentro il Giappone, Corea del Sud) a un massimo di 80,79 euro (verso l’Europa, il Nord America, il Medio Oriente e l’Oceania).
Ci sarebbero poi da approfondire i voli nazionali. Nel confronto con gli altri l’Italia risulta la più penalizzata: se da noi il supplemento raggiunge anche i 106 euro, in Germania non supera i 26 euro, in Francia i 22 euro, in Portogallo i 16 euro. Che si azzerano in Spagna, Regno Unito e Stati Uniti.