Corriere della Sera, 31 luglio 2018
Intervista a Daisy Osakue: «Mi hanno colpita perché di colore. La situazione è al limite ma non è questa l’Italia»
«Ho avuto molta paura. Ero sola, in una stradina buia: ho creduto che mi avessero buttato addosso dell’acido», confida Daisy Osakue. Sono le cinque e mezza di questo caldissimo lunedì pomeriggio di fine luglio, quando l’atleta di lancio del disco, 22 anni, lascia la caserma dei carabinieri di Moncalieri. Ha appena sporto denuncia per l’aggressione subìta qualche ora prima e che reputa sia dovuta esclusivamente al colore della sua pelle. Eppure dice che «questo comportamento appartiene a una minoranza. Che va punita, perché non ci siano più discriminazioni né verso me, né verso nessun altro. L’Italia non è un Paese razzista».
È d’accordo con Matteo Salvini, dunque?
«È ciò che penso. So che il ministro mi ha inviato auguri di pronta guarigione e lo ringrazio».
Il premier Conte l’ha chiamata.
«È stato gentilissimo a trovare il tempo per farlo dagli Stati Uniti. Era dispiaciuto per quanto è successo e mi ha fatto il suo in bocca al lupo per le gare»
Nel suo caso lei ha parlato di razzismo.
«Sì, non esagero. Ne sono convinta».
Come mai?
«La zona in cui è avvenuta l’aggressione è frequentata da prostitute africane. Quelle persone devono avermi scambiata per una di loro. Non volevano colpire me come Daisy, ma in quanto ragazza di colore».
Non vede altri moventi possibili?
«Non ho nemici. Nessuno mi ha mai minacciato. Non credo che esistano gelosie sportive dietro a questo episodio. Per me è stato razzismo: lo credo al 120 per cento».
Prima le era mai capitato?
«No. A parte qualche insulto».
Riuscirà a riprendersi per gli Europei di Berlino?
«Dovrò saltare due giorni di allenamenti, ma giovedì 9 agosto sarò in campo. Voglio esserci a tutti i costi».
Con la maglia azzurra.
«Per me è un onore indossarla. Una fortuna. È il sogno di ogni bambino che fa sport vestire i colori della nazionale».
Lei in passato raccontava il sogno di poter cantare l’inno di Mameli.
«Proprio così. Per ottenere la cittadinanza italiana ho dovuto aspettare di compiere 18 anni. E questo nonostante sia nata a Torino. In molti Paesi esteri ci vuole assai meno. È triste non avere lo ius soli».
Ora vive gran parte dell’anno in Texas, dove si allena e studia giurisprudenza all’università di San Angelo. Che cosa prova quando rientra in Italia?
«Mi sembra che la situazione sia ormai al limite».
In che senso?
«Viviamo un momento di forte tensione sociale che, unita ai pregiudizi, alla stanchezza, alla frustrazione, in alcuni casi porta a gesti estremi. Lo stesso caos del Parlamento si ritrova nelle nostre città».
E come crede che si sia arrivati a questo punto?
«Ognuno vuole qualcosa, ma non sa come ottenerla e per arrivarci è disposto a fare di tutto».
Ora come si sente?
«Stanca. Ho un gran mal di testa. Devo dormire un po’. Ma sono fiduciosa».
Crede che si troveranno i responsabili?
«Spero di sì e spero lo facciano in fretta».
Se li avesse davanti che cosa vorrebbe dirgli?
«Chiederei perché lo hanno fatto, ma immagino già la risposta».
Ha ricevuto tanti auguri?
«Moltissimi. Paolo Montagna, sindaco di Moncalieri, è venuto a trovarmi a casa. Ho sentito il Coni, la Fidal, tutti i colleghi».
Sente di avere meno paura?
«Sì. Spero che quello che è successo serva a far capire che bisogna gettare acqua su questo fuoco invece che continuare ad alimentarlo».
E l’occhio va meglio?
«Sì. Il guscio dell’uovo ha provocato abrasioni alla cornea e un versamento di liquido sulla retina. In un paio di giorni dovrebbe guarire».
Una medaglia sarebbe il regalo più bello dopo quanto successo?
«Sì, ma è difficile. Ci sono diverse atlete molto competitive e brave».
Qual è il suo obiettivo a Berlino?
«Migliorare il mio record personale, che è di 59,72 metri».
Se arrivasse ai 60?
«Forse, potrei perfino perdonare i miei due aggressori».