La Stampa, 30 luglio 2018
«Limiti al turismo e stop agli stranieri». La svolta sovranista dell’Isola di Pasqua
«Gli stranieri si stanno prendendo il nostro territorio». L’ennesimo allarme di un premier dell’Est Europa, qui, non c’entra. Il Vecchio Continente è lontano 20 ore di aereo. Ma gli echi dell’ondata sovranista sembrano risuonare anche in mezzo al Pacifico, nella remota Isola di Pasqua. L’avvertimento è stato lanciato da Pedro Pablo Edmunds Paoa, sindaco del territorio cileno a 3500 chilometri dalle coste di Santiago. Dal 1o agosto entra in vigore una stretta su turismo e immigrazione. La nuova legge riduce da 90 a 30 giorni il visto per i turisti e rende più stringenti le regole per gli stranieri (cileni inclusi): solo chi ha un contratto di lavoro o legami familiari con gli isolani potrà rimanere a vivere a Rapa Nui, nome originario dell’isola. «Ma la discriminazione e la xenofobia che state vivendo in Europa qui non c’entra – assicura il sindaco al telefono da Taiwan, dove si trova per un congresso di popoli originari -. In ballo c’è la sopravvivenza della nostra isola».
Il caos rifiuti
L’aumento della popolazione – più che raddoppiata negli ultimi 15 anni, passando dai 3800 agli attuali 7750 abitanti – è diventata una minaccia per il paradiso di 170 chilometri quadrati, un fazzoletto di terra di origine vulcanica che occuperebbe il 5% della Valle d’Aosta. I servizi di base, i rifornimenti energetici, lo smaltimento dei rifiuti e gli ospedali sono in crisi. Senza considerare l’innalzamento degli oceani che mette in pericolo i Moai, le enigmatiche statue giganti di pietra che ogni anno richiamano 116 mila turisti. Le nuove norme prevedono controlli più rigidi e maggiore burocrazia. Al momento di partire, infatti, i viaggiatori dovranno presentare il biglietto aereo di ritorno e la prenotazione dell’albergo o l’invito di un isolano. Il turismo, la principale risorsa dell’isola insieme a pesca e agricoltura, è anche il principale pericolo. Ai problemi cronici di approvvigionamento di acqua e gas si aggiunge la produzione dei rifiuti, ormai fuori controllo. Le strutture per lo smaltimento non sono più sufficienti: un abitante su due crede che sia il problema più urgente da risolvere per salvare l’isola. Se dieci anni fa ognuno produceva 1,4 tonnellate di immondizia all’anno, oggi la cifra raggiunge 2,5 tonnellate. E la percentuale di rifiuti riciclati è quasi nulla. «Qui la fragilità dell’ecosistema e delle risorse è estrema. Siamo, al mondo, il territorio abitato più lontano dalla terra ferma – spiega Flor Ayala, corrispondente del quotidiano cileno El mercurio -. Dipendiamo in tutto e per tutto dal continente. Lo scorso anno siamo rimasti mesi senza gas perché le navi di rifornimento non riuscivano ad attraccare a causa del meteo. Per cucinare si accendevano fuochi con la legna».
Identità a rischio
Nell’isola in cui è ambientato il celebre film di Kevin Reynolds, Rapa Nui, è in corso anche una battaglia identitaria. «La nostra cultura millenaria è a rischio, le influenze del Cile stanno prendendo il sopravvento. Spesso gli anziani non sono più rispettati ed è aumentata la delinquenza, che prima quasi non esisteva. Ormai noi Rapa Nui siamo diventati una minoranza», denuncia Pedro Edmunds. I numeri gli danno ragione: i discendenti del popolo originario sono poco più del 45%, mentre i cileni, attratti dalle bellezze dell’isola e dai sussidi statali, sono il 51,4%. Il restante 2,7% è composto da stranieri, per lo più impiegati nel settore turistico.
Secondo le stime del sindaco oggi 3 mila persone sono di troppo. «Attualmente il semaforo è giallo», fanno sapere le autorità usando una metafora. Il passo successivo, spiegano, è la saturazione. «In quel caso saremmo costretti a blindare l’isola. E cominciare a mandare via alcuni abitanti», spiega Pedro Edmunds, cercando di evitare la parola «espulsioni». I primi a doversene andare sarebbero gli stranieri arrivati dopo il primo gennaio 2016 e chi non ha legami familiari con gli isolani. «Ma non accadrà se si correrà ai ripari con investimenti nelle infrastrutture. E comunque devono trascorrere tre anni dallo stato di emergenza». A settembre si riunirà per la prima volta la commissione speciale che dovrà decidere la capacità massima dell’isola.
Intanto Pedro Edmunds rilancia la sua battaglia. «Come la maggior parte degli abitanti avrei voluto una chiusura totale all’arrivo di nuovi residenti per salvaguardare la nostra isola e consegnarla intatta alle nuove generazioni. La popolazione non può più aumentare. Questo è solo l’inizio».