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 2018  luglio 30 Lunedì calendario

«Io, vescovo d’Arabia so cos’è la frontiera»

Un vescovo in terra musulmana. Paul Hinder, cappuccino svizzero tedesco, 76 anni, da quattordici vive ad Abu Dhabi, sede del vicariato apostolico dell’Arabia del Sud, che comprende Emirati Arabi, Oman e Yemen, tutti paesi islamici governati dalla sharia. Ai cattolici (10 per cento della popolazione, tutti immigrati) è concessa libertà di culto, ma solo in luoghi autorizzati. «Siamo come vasi di creta – dice – e se continueremo a non considerarci i maestri della storia avremo un futuro».
A Repubblica Hinder racconta l’esperienza di religioso di frontiera, in una regione in cui il suo credo è minoranza.
Dalle valli elvetiche ai deserti d’Arabia. Come è accaduto?
«Me lo chiese Giovanni Paolo II.
Malgrado le mie riserve non avevo ragioni sufficienti per dire “no”. E così, dopo 50 anni in Svizzera e 10 a Roma, mi sono trasferito nelle terre del deserto».
C’è ostilità verso di voi?
«Siamo accolti con gentilezza e rispetto. La libertà religiosa e di culto è limitata. La conversione dall’Islam a un’altra religione è proibita. Però se rispettiamo le regole, possiamo prenderci cura della nostra gente. I cattolici sono immigrati, presenti per un tempo limitato, provenienti da culture diverse e da riti differenti. Trovare unità nella diversità è la sfida. Lo Yemen rappresenta un caso speciale: a causa della guerra, dal 2015 non mi è stato più possibile tornarci. Lì il piccolo gregge è per il momento orfano».
L’Islam fa paura all’Europa.
È una paura legittima?
«Dietro questa paura c’è una memoria collettiva, di quando l’Europa occidentale era minacciata dai poteri musulmani. Il fatto che molti attentati degli ultimi anni abbiano avuto un retroscena islamico fa sì che l’opinione pubblica sia allarmata.
Inoltre molti, se non la maggioranza degli occidentali, non sanno più chi sono: cristiani, atei o altro. E anche per questo il confrontarsi con una migrazione di popoli provenienti da paesi musulmani è sentito come una minaccia. La paura è dovuta dalla debolezza ideologica occidentale. Eppure, tutta la tradizione biblica è storia di migrazione, e cultura dell’ospitalità e dell’accoglienza verso lo straniero. Infine, c’è la parola del profeta Isaia indirizzata al popolo in situazione critica: “Se non crederete, non resterete saldi”. La paura è sempre una povera guida».
Ritiene sia in atto una guerra islamica all’occidente cristiano?
«È una caricatura, perché si riferisce soltanto a una delle tendenze presenti all’interno dell’Islam, che resta una religione con un forte compito missionario. Ciò costituisce una sfida a noi che spesso non siamo in grado di rispondere. Siamo di fronte a un dislivello: un Islam credente e praticante, e un cristianesimo in forte declino e incapace di rispondere ai bisogni profondi dell’essere umano. Molti musulmani rifiutano una democrazia malintesa, dove la maggioranza decide su princìpi e valori fondamentali che per loro non sono discutibili. Certo, non nego ci siano movimenti all’interno del mondo islamico che hanno come scopo la conversione dell’Occidente “infedele” alla vera religione.
Tocca a noi accettare la sfida sulla base dei nostri valori basilari fondati nella fede cristiana».
Che cosa pensa della politica italiana e della risposta alle migrazioni?
«Non sono legittimato a dare un giudizio sulla politica italiana. Ciò che vedo è che in molti paesi europei ritornano politiche che fingono di prendere sul serio le paure della gente. In questo contesto esiste il rischio che xenofobia e discriminazione si rialzino. La politica deve superare una mentalità dove tutti cercano il potere e la difesa degli interessi personali o di gruppi e non lavorano per il bene comune. È responsabilità nostra essere vigili e reagire».
Cosa della cultura islamica si avvicina alla nostra?
«Non pretendo di conoscere la cultura islamica nella sua vastità.
Tuttavia, è palese che molti musulmani si aprono volentieri al progresso tecnico. Dall’altra parte sembrano essere più critici di fronte a quegli aspetti che considerano una specie di degenerazione. Per questo vogliono una cultura radicata nella tradizione dell’Islam e insieme aperta alla modernità. Gli Stati moderni islamici stanno riscoprendo l’importanza di scienza, storia, arte, letteratura».
Qual è il futuro delle comunità cristiane? Joseph Ratzinger parlava di “minoranze creative”.
«Il futuro delle comunità cristiane in Medio Oriente (e forse anche in Occidente) dipende da diversi fattori come la politica (più o meno repressiva), l’economia e non da ultimo dai cristiani stessi.
Se le minoranze cristiane vivranno la loro autentica testimonianza cristiana avranno un futuro. Non siamo noi i maestri della storia, ma professiamo con convinzione che Cristo vincerà.
Lo farà come lo ha fatto all’inizio tramite fedeli che vivono come “vasi di creta”».