Corriere della Sera, 30 luglio 2018
Richard Gere sta per diventare nuovamente padre a 68 anni
È notizia fresca: Richard Gere starebbe per diventare nuovamente padre a 68 anni. La terza moglie, Alejandra Silva (35 anni), sarebbe incinta al terzo mese. Non è un caso raro tra le celebrità: Daniel Craig e Rachel Weisz (50 anni lui e 48 lei) stanno per avere il loro primo figlio. Uno dei padri più anziani è Mick Jagger, che a 73 anni ha avuto il suo ottavo figlio.
È risaputo che per le donne diventare madri dopo i 40-45 anni comporta problemi e preoccupazioni. Non avviene altrettanto per gli uomini. Ma è davvero così, anche in termini di salute per i nascituri? Secondo un articolo di Nature del 2017, ogni anno in più del padre comporterebbe un incremento di 1,51 nuove mutazioni genetiche nei figli, il 25% in più rispetto a quelle dovute alla madre. Un altro studio del 2012 (sempre su Nature) ipotizzava un aumentato rischio di autismo e schizofrenia nei figli di padri più anziani, pericolo che comunque non superava l’uno per cento complessivamente.
«È verosimile che l’età abbia una sua influenza sugli spermatozoi, ma l’incremento assoluto di rischio è modesto e non rappresenta una reale preoccupazione da un punto di vista clinico – spiega Edgardo Somigliana, responsabile del Centro di procreazione medica assistita della Fondazione Ca’ Granda-Policlinico di Milano —. Sono le malattie cromosomiche a dipendere dall’anzianità (della donna, però), perché un ovocita vecchio non riesce a fare in modo adeguato il suo lavoro ed è per questo che in media a 41 anni la donna cessa di essere “fertile”. Non è che non ovuli più, ma gli ovociti non hanno più la stessa forza “vitale”. Aumentano perciò i casi di sindrome di Down e gli aborti spontanei». Perché la sindrome di Down e non altre malattie? «Perché – aggiunge – è la patologia meno grave tra quelle cromosomiche, è compatibile con la vita. Quasi tutte le altre vengono “fermate” prima della nascita da aborti spontanei o mancato impianto. Sono fenomeni che avvengono al momento della fecondazione, per l’ovocita invecchiato».
«Nei casi di donne rimaste incinte in età avanzata dobbiamo ipotizzare che abbiano utilizzato ovociti propri congelati o quelli di donne giovani», dice Mauro Busacca, direttore di Ostetricia e Ginecologia all’Ospedale Macedonio Melloni di Milano.
La conferma arriva da Brigitte Nielsen, neomamma all’età di 54 anni, che ha rivelato di aver congelato i suoi ovuli 14 anni fa e ha confessato: «Comunque ci abbiamo provato per dieci anni». Quando si parla di fecondazione assistita c’è l’errata convinzione che sia sempre possibile. Non è così. Mentre l’utero «invecchia» molto meno e con un buon trattamento ormonale si può «ringiovanire», nel caso degli ovociti non si riesce a riportare indietro l’orologio biologico.
Per le donne in età avanzata ai rischi per il nascituro si sommano quelli propri della gravidanza. «A 50 anni il pericolo di morte per una partoriente, seppure piccolo, è 100 volte superiore», chiarisce Somigliana. «Il limite canonico è sopra i 40-45 anni – dice il professor Busacca —: dopo quest’età una donna senza problemi prima della gravidanza potrebbe andare incontro a patologie dismetaboliche e ipertensive, perché il fisico viene sottoposto a un grande sforzo».
L’età del padre non incide in maniera preoccupante sui nascituri: gli spermatozoi continuano a replicarsi e anche se si corre il rischio di mutazioni i problemi conseguenti sono rari. Per le donne è diverso: il numero di cellule uovo è stabilito fin dall’inizio e gli ovociti invecchiano come il resto del corpo.