la Repubblica, 7 luglio 2018
È scoppiata la guerra dell’economia
NEW YORK Dopo mesi di minacce, è scoppiata la “più grande guerra commerciale della storia economica”: come la chiama Pechino, attribuendone tutte le responsabilità a Trump. Alla mezzanotte, infatti, sono scattati i dazi americani su 34 miliardi di dollari di importazioni del Made in China, tra cui bollittori elettrici, macchine a raggi X e gomme per aerei. E un minuto dopo, come promesso, la Cina ha risposto colpendo 545 prodotti Made in Usa, tra cui la soia e la carne suina, che penalizzano i “farmers” del midwest, una categoria che nelle ultime presidenziali ha votato quasi compatta per i repubblicani. Questa guerra tra la prima e la seconda potenza economica del mondo rischia di continuare: la Casa Bianca, che aveva concepito i dazi anti-Pechino come un argine alle violazioni della proprietà intellettuale, considera inaccettabili le ritorsioni cinesi e, a detta di Trump, è pronta a una ulteriore escalation. Le contro-ritorsioni riguarderebbero 500 miliardi di dollari di prodotti, in pratica quasi tutto l’export cinese. E Pechino, che ha già denunciato la vicenda al Wto, ha intenzione di non sottostare al sopruso e risponderà. Il rischio? Che la spirale non si fermi più. Che il braccio di ferro mandi in fallimento migliaia di aziende e in recessione l’economia mondiale. Per ora Trump non sembra alla ricerca di un compromesso e forse neanche di un negoziato. Del resto ha contenziosi con tutti i partner, non solo con i cinesi. I nuovi dazi americani su acciaio e alluminio hanno già portato a ritorsioni messicane, canadesi ed europee. C’è poi il ricatto dell’auto: Trump ipotizza per metà luglio l’introduzione di un dazio del 20 per cento sui veicoli importati e sulla componentistica straniera. Una misura del genere non solo penalizzerebbe l’export europeo, in particolare tedesco, ma avrebbe conseguenze negative per Detroit. La General Motors ha già lanciato l’allarme.