Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2018  luglio 06 Venerdì calendario

“Furbetti del cartellino”: tanto rumore per poco

Gli ultimi beccati con i polpastrelli sul cartellino dei colleghi sono dieci impiegati del Comune di Misilmeri, in provincia di Palermo. I carabinieri li hanno inchiodati con telecamere piazzate all’ingresso del personale e pedinamenti fino ai mercatini e al supermercato della zona, dove risultavano clienti affezionati in pieno orario di lavoro. Sarà perché per documentare i loro deprecabili comportamenti sia stata ammessa la prova video che li ha immortalati anche in mutande, sta di fatto che le imprese dei “furbetti del cartellino” sono diventate molto popolari in tv, su Internet e social, incitando l’atavica indignazione contro la scarsa produttività degli impiegati statali e con essa l’attenzione della politica. Dal 2009 a oggi ben due ministri di opposti schieramenti, Renato Brunetta di Forza Italia e poi Marianna Madia del Pd, sono intervenuti per cercare di arginare un fenomeno evidentemente percepito come dilagante, ma dai contorni e dalla dimensione reale ancora abbastanza vaghi.
L’ultima inquilina del dicastero della Funzione Pubblica, Giulia Bongiorno, annuncia già tra i primi provvedimenti la “tolleranza zero” per stroncare la malapianta, promettendo di ricorrere agli ultimi ritrovati tecnologici della scienza investigativa, come i tornelli dotati di lettore delle impronte digitali. Un annuncio che ha fatto gridare già alla schedatura di massa per gli oltre 3,2 milioni di dipendenti pubblici. Per la verità, l’idea non è nuova. L’amministrazione comunale di Rimini, per esempio, ha installato 14 nuovi rilevatori dotati di tecnologia “biometrica”, cioè predisposti per un controllo attraverso il rilevamento delle impronte digitali che potrebbe ricevere il via libera dalla ministra Bongiorno. Alla gogna mediatica corrispondono, secondo le frammentarie e scarse statistiche ufficiose a disposizione, poche decine di provvedimenti disciplinari presi ogni anno dalle amministrazioni pubbliche. I licenziamenti decretati finora ai sensi della riforma Madia, sarebbero una quarantina. Nel 2017 complessivamente nella Pa sono stati licenziate 324 persone. Quasi la metà (154 pari al 48% del totale) per assenze ingiustificate. Rispetto al 2016, quando in totale i licenziati erano stati 344, si registra nel complesso un calo del 5,8%. In forte rialzo, ma tutto è relativo, invece il numero dei dipendenti pubblici allontanati per aver attestato una falsa presenza. Gli impiegati licenziati nel 2017 sono stati 55, l’anno prima solo 31. La procedura di allontanamento messa a punto dall’ex ministra della Funzione pubblica è apparentemente implacabile: l’assenteista colto sul fatto deve essere sospeso entro 48 ore e convocato con una comunicazione spedita entro 15 giorni dopo. Entro 20 giorni dal l’avvio del procedimento, l’ente pubblico deve denunciare il lavoratore alla Procura regionale della Corte dei conti. La mannaia del licenziamento dovrebbe cadere sul collo del condannato alla scadenza del trentesimo giorno. Eppure la serie di dati faticosamente rivelati sui procedimenti di allontanamento dal 2010 a oggi non riporta differenze apprezzabili tra prima e dopo la cura Madia.
Il 2015 è stato il primo anno della guerra, subito dichiarata dal governo Renzi, contro i famigerati “furbetti”. Fu avviata dopo lo scandalo del Capodanno romano, in cui si scoprì che oltre 700 vigili urbani, in piena amministrazione grillina, si erano dati malati, a torto o a ragione, proprio a San Silvestro, per la verità in piena concordanza con abitudini radicate anche in altri comparti pubblici capitolini. In questo clima di generale indignazione i procedimenti disciplinari avviati in tutta la Pa allora furono 8259 (contro i 6935 dell’anno prima) e 280 i licenziamenti di cui 108 in seguito ad assenze ingiustificate. Nel 2014 quando i procedimenti aperti furono quasi 7 mila, si totalizzarono 227 licenziamenti, di cui nel 37% dei casi, causati da assenze “anomale” dal servizio.
Nel 2013 i dati disponibili ci segnalano 219 licenziati a seguito di provvedimenti disciplinari su 6935 procedimenti avviati, 99 per assenteismo e 223 nel 2012 di cui 64 (il 29%) per aver aggirato il tornello. Nel 2011 il numero complessivo di licenziamenti disciplinari risultò più alto, toccando quota 288. Per quanto riguarda l’anno di esordio del decreto Brunetta, il 2010, una relazione al Parlamento sullo stato della Pubblica amministrazione nel marzo del 2011 (molto parziale perché non teneva conto di tutte le Regioni e di molti ministeri), evidenziava 2.265 provvedimenti avviati, di questi 105 conclusi con un licenziamento, di cui 35 per assenze anomale. Come si vede dai numeri, l’andamento dei risultati della faticosa guerra contro i furbetti del cartellino non si discosta molto in questi 9 anni.
I dirigenti tendono a non denunciare i loro dipendenti e quando interviene la magistratura il procedimento amministrativo viene sospeso fino al termine dell’iter giudiziario. Tuttavia è accaduto in diversi casi che gli impiegati infedeli non venissero allontanati anche dopo la condanna definitiva. Ma nonostante gli scarsi risultati del sistema sanzionatorio, sulla testa dei “furbetti” più incalliti continuano a fioccare editti minacciosi. L’ultimo è dell’Aran, l’agenzia che rappresenta gli enti pubblici nelle trattative sindacali, che nella bozza del prossimo contratto prevede il licenziamento dei dirigenti assenteisti seriali o nei periodi in cui va garantita continuità di servizio. Cosa che, sottolineano all’Aran, avverrebbe già anche per i semplici dipendenti. Sarà punita anche la ripetuta “tolleranza di irregolarità in servizio” verso il personale. Viene da pensare che per risolvere questo e molti altri problemi basterebbe fare l’appello ogni mattina e che ci sia un capoufficio che controlli e faccia lavorare gli impiegati che gli sono affidati, come ai tempi di Quintino Sella.