Corriere della Sera, 6 luglio 2018
In morte di Claude Lanzmann
Con Claude Lanzmann, morto ieri a Parigi a 92 anni, scompare uno dei grandi protagonisti della vita culturale francese, non solo cinematografica (cui diede il capolavoro Shoah) ma anche intellettuale, amico fraterno di Jean-Paul Sartre, compagno per sette anni di Simone de Beauvoir e con loro, dal 1952, nel comitato di redazione di Les Temps Modernes, diventandone direttore dall’86. Ebreo per nascita, gauchiste per scelta (firmò il «Manifesto dei 121» contro la politica coloniale francese), dopo aver insegnato nel primo dopoguerra in Germania e poi aver fatto il giornalista in Francia, si avvicinò al cinema negli anni Settanta scegliendo il documentario (e l’intervista) come genere privilegiato. Dopo Pourquoi Israël (1972) per sette anni raccoglie le testimonianze di sopravvissuti ai lager e interviste ai tecnici tedeschi che resero possibile l’eccidio dal punto di vista pratico (come i macchinisti dei treni per Treblinka), senza una parola di commento o far ricorso a materiale documentario: il risultato sono le nove ore di Shoah (1985), un’opera monumentale che riesce a raccontare «l’indicibile e la radicalità della morte» evitando ogni retorica. Coi film successivi Lanzmann approfondisce il tema di Israele e dello sterminio degli ebrei (Tsahal, 1994, Sobibor – 14 ottobre 1943, ore 16.00, 2001), senza preoccuparsi se il suo lavoro può sollevare polemiche, come ha fatto con L’ultimo degli ingiusti (2013) sul rabbino Murmelstein, sopravvissuto al campo di Theresienstadt o con il recente film sulla Corea del Nord, Napalm (2017).