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 2018  luglio 06 Venerdì calendario

La modella di Chanel fuggita dal Sud Sudan. «Sognavo solo una casa ora credo nei miracoli»

Non pensava certo di fare la modella Adut Akech, da bambina. Figurarsi diventare una top. Sognava «solo» del cibo e una casa per lei e i suoi cinque fratelli e sua madre: «La mia regina». Per se stessa tutt’al più la possibilità di studiare, per imparare e magari diventare giornalista per raccontare del Sud Sudan, il suo Paese martoriato, del campo profughi in Kenya dove è cresciuta e dell’Australia, il Paese che l’ha accolta.
E invece eccola l’altro giorno chiudere, sposa in tailleur, la sfilata di Chanel, seconda ragazza di colore della storia dopo una «certa» Alek Wek: «Il mio mito – dice sempre Adut, un giunco di 1.75 —. Un giorno, quando già tante cose erano lontane, guardando Alek, una come me, ho pensato che forse avrei potuto farcela anche io». E in due anni è andata proprio così. Quando Karl Lagerfeld l’ha presa per mano e l’ha abbracciata tra i Quais finti, ricostruiti sotto le volte del Grand Palais, di vero c’era la commozione e la meraviglia di questa incredibile ragazza che crede «nei supereroi, nei miracoli, nelle benedizioni, nella fortuna e in mia mamma».
Pochi minuti dopo quel successo il suo post su Instagram è diventato virale: «Ai ragazzi e alle ragazze che mi guardano dico che non importa chi siate e da dove venite, finché avete un sogno sappiate che lavorando duro arriverete. Date tutto e non cedete mai».
E poi ringraziamenti su ringraziamenti. Come fa sempre Adut da quando il mondo della moda l’ha scoperta, fatta sfilare e messa sulle cover dei più importanti magazine. Niente è scontato per lei. Anche se è sempre stata una bambina speciale, spensierata e decisa, malgrado tutto.
Nata in Sud Sudan, nella tribù dei Twic Bor, a sette anni Adut è già nel campo profughi di Kakuma, in Kenya, al confine con l’Uganda, che allora come oggi ospita 185 mila disperati in fuga dalla guerra civile anche se ci sarebbe posto solo per 70 mila. «Vivevamo con i miei cugini che erano stati meno fortunati di noi perché loro avevano visto torture e omicidi – racconta senza mai nascondere nulla delle sue origini —. Non c’era cibo per tutti. Giocavamo con una palla di stracci e la sera, alla luce di una lampada a olio, mia sorella mi insegnava a scrivere: solo lei poteva andare a scuola, costava troppo al campo profughi».
Ora pasteggia a champagne e vola in business, ma non dimentica. Qualche settimana fa ha partecipato a un Tedx (una conferenza) proprio a Kakuma e ha parlato di «resilienza». E all’uscita della sua prima cover importante ha postato sul suo Instagram: «Sono una profuga, venuta dal nulla, ho sognato e sperato senza aspettative, vorrei permettermi di rappresentare le persone del Sud Sudan, ma anche tutti gli individui di colore del mondo».
Già, Adut ha 18 anni, compiuti il 25 dicembre del 2018, ma non ha perso tempo a farsi voce: «C’è tanta strada da fare. Nelle pubblicità non ci sono ancora molte modelle di colore accanto a una boccetta di profumo. Mi sento una giovane donna forte e indipendente, che coltiva un grande senso di gratitudine. Sono gioiosa e odio portare energia negativa». In un’intervista a Vogue Italia ha svelato che quando sfila si deve trattenere perché le scappa sempre da ridere: «Tutti meritano libertà e felicità. Ogni volta che sento parlare di barriere, mi si spezza il cuore». E lei di confini ne ha già oltrepassati parecchi.
Dopo il campo profughi, la sua famiglia ha ottenuto una casa a Nairobi: quattro stanze, senza elettricità, da dividere con altri. Tanta fame, e ancora paura. Nel 2008 un permesso per l’Australia, Adelaide, dove però non riuscivano a pronunciare il suo nome e così a scuola gli insegnanti decisero di chiamarla Mary. A 13 anni la prima sfilata per la zia, sarta, e la segnalazione di uno scout in Rete. Troppo giovane però per gli show veri. Due mesi dopo i 16 anni – l’età consentita – la chiamata a Parigi e un successo dopo l’altro, show e copertine e campagne. Il suo sogno? Sempre lo stesso: studiare (si è diplomata e si è iscritta a una facoltà di Economia online) per raccontare.