Perché le figlie non hanno preso il cognome paterno?
«Sono sposate, anche i loro mariti se la sarebbero potuta prendere, come un giorno Lev se la prese con me. Ai tempi dello zar, quando c’era il pericolo che cessasse una stirpe, i nobili prendevano un cognome doppio. Ma noi non abbiamo sangue blu».
Ricorda la prima volta che lo ha visto in porta?
«Un giorno Lev mi invita allo stadio prestandomi la sua tesserina, un piccolo biglietto verde con la scritta “senza diritto a occupare un posto” . Con questa “kartochka” dovevi cercare un posto libero o guardare la partita in piedi. Non ricordo con chi giocasse. Lev mancò la palla, e nella partita successiva con la Tblisi accadde una vera tragedia. Sul 4-0 nel primo tempo Lev si scontrò con un difensore e i georgiani recuperarono un gol, poi un altro, e poi un terzo. All’intervallo era pareggio: 4-4. Lev si mise a sedere sulla panchina e pianse».
Il grande Jashin piangeva?
«Un’aria di musica lirica o un film drammatico potevano portarlo alle lacrime. Si vergognava della sua sensibilità eccessiva, cercava di non mostrarla in pubblico».
Lei andava spesso allo stadio?
«Quando era possibile. Ma l’ho visto allenarsi solo una volta. E mi è bastato per tutta la vita. Non riuscivo a guardare perché veniva martellato dai colpi di pallone. Lev soffriva di ulcera sin dai tempi della guerra. Per stanchezza o malnutrizione. Si portava sempre dietro una confezione di bicarbonato. Se ne versava una manciata sul palmo della mano, la inghiottiva e cercava qualcosa da berci sopra. Ogni volta che finiva il campionato, andava in ospedale per un ciclo di terapie. Perciò mi indignai nel vedere come venisse flagellato di pallonate durante l’allenamento».
Lei abita qui dal 1964.
«Per 26 anni con lui e quasi 30 da sola. Quando venne Beckenbauer a cena, mio marito mi avvertì all’ultimo secondo. Per poco non sono caduta dalla sedia. “Come faccio a cucinare in tempo qualcosa di buono?”. Chiamammo un ristorante di lusso, ci portarono piatti già pronti e due casse di birra bavarese con una dozzina di bottiglie. Per la prima volta in vita mia assaggiai l’aragosta, ma con la birra fu un fiasco. Dentro la prima cassa c’era birra ceca. Beckenbauer fece una smorfia. Quando andò via, spacchettammo la seconda cassa e ci trovammo la bavarese».
Il famoso berretto di Jashin che porta in tante foto, lo ha conservato?
«Non c’è più. Glielo rubarono dopo la finale degli Europei 1960 a Parigi contro gli jugoslavi. Appena l’arbitro fischiò la fine, una valanga di tifosi scese in campo e qualcuno lo prese. Lev lo poggiava sempre sul prato vicino alla porta».
Perché non ne ha comprato un altro?
«Teneva tantissimo a quello lì, gli era molto caro perché lo aveva portato sin dall’inizio. Guardate le vecchie foto dell’epoca: si vede che dopo il 1960 Lev giocava senza».
(© Rossiskaja Gazeta. Sito web: www.rg.ru. Traduzione di Aleksej Tekhnenko)