La Stampa, 5 luglio 2018
Serena di nome e, quasi, di fatto. “Smetterò quando lo farà Federer”
«Chi gioca dopo di me?», ha chiesto Federer a un suo amico uscendo dal Centre Court dopo essersi sgranchito un’oretta e mezzo con Lukas Lacko. «Serena», gli ha risposto il tizio dal Royal Box. «Ma come Serena: non dovrebbe esserci un match maschile?». No, c’era proprio Serena. Una che, insieme a sorella Venus, con le sue imprese e le sue prese di posizione contro ogni tipo di discriminazione, è riuscita a cambiare qualcosa nell’ultracentenario e molto conservativo meccanismo dei Championships. Esempio: ieri, 4 luglio, non è stata solo festa nazionale negli States, ma anche una giornata a suo modo storica a Wimbledon, dove per la prima volta in totale sui campi principali sono stati programmati più match femminili che maschili (11 contro 10). «Sono orgogliosa di giocare in un torneo che riconosce alle donne questa opportunità», ha spiegato la ex numero 1, la vera attrazione di un tabellone femminile che continua a perdere pezzi (ad esempio ieri la n.2 del mondo Caroline Wozniacki).
Test antidoping
Il rosa stinge, Serena continua a splendere nei suoi completini post-maman bianchi, infilata in un paio di calze contenitive color carne che avrebbero fatto la gioia di Raffaella Carrà, e che la aiutano a migliorare la circolazione dopo i tanti problemi di trombosi da cui è stata tormentata negli ultimi anni. Qualche giorno fa ha spiegato che continuerà a giocare «fino a quando Roger Federer non si ritirerà» – Roger, a cui è stata riferita la frase, ha commentato: «Credo sia una battuta...» – e si è detta «perseguitata» dagli agenti dell’antidoping che un paio di settimane fa si sono presentati a casa sua alle 8,30 del mattino, rifiutandosi di levare le tende fino a quando la campionessa, in quel momento assente, non li ha ricevuti. Nel corso del 2018 la ex n.1 del resto è già stata testata 5 volte, contro una delle sue colleghe americane Madison Keys e Sloane Stephens: essere Serena, insomma, è gratificante, ma non sempre semplice. Perché sul campo Serena sembra una guerriera – come Queen of Wakanda, ha spiegato a Parigi citando un’eroina dei fumetti -, ma sotto i completi da Cat Woman, le acconciature espanse, scorrono fragilità in fondo prevedibili per chi è cresciuta a Compton, sobborgo di Los Angeles, schivando i proiettili delle gang locali. «La paura mi è sempre servita», dice. «Senza la paura, i dubbi, lo sconforto, come riusciresti a reagire ai momenti difficili?». A Wimbledon ha anche raccontato che dopo 10 mesi ha dovuto smettere di allattare la figlia Alexis Olympia, nata lo scorso settembre, perché continuava a perdere peso e non riusciva più a recuperare una forma fisica accettabile. «L’ho presa in braccio e le ho detto: “Mamma non può più allattarti”. Poi mi sono messa a piangere. Ma lei non ha reagito male. Le donne mi possono capire, loro sanno che non siamo tutte uguali e che il fisico può reagire in maniera diversa».
Un altro figlio
Nel suo futuro c’è un’altro figlio, prima però cercherà di vincere il 24 esimo Slam per raggiungere l’ennesimo record, quello di Margaret Court, mostrando sul campo la faccia feroce e le botte di martello con cui ieri ha spaventato in due set la malcapitata qualificata bulgara Tomova. Oggi è scesa n.181 del mondo, ma la regina nell’immaginario collettivo è sempre lei e Wimbledon le ha comunque concesso una testa di serie: come era dovuto a chi questo torneo lo ha vinto sette volte. E lo ha anche cambiato.