La Stampa, 5 luglio 2018
Tags : Anno 1901. Personaggi maschili. Polonia. Musica
1940, Chopin al magnetofono
Nessuno ricorda come e quando arrivò negli studi di Radio Vaticana il pesante magnetofono Aeg, modernissimo padre di tutti i registratori magnetici. Si immagina un regalo al pontefice da parte dei tedeschi che lo avevano inventato nel 1935, ma non vi sono certezze. Invece siamo sicuri che Mieczyslaw Horszowski scese a Roma il 24 febbraio 1940 e prese una stanza alla Pensione Nella. Cinque giorni più tardi il grande pianista polacco concesse al nastro di immortalare il suo talento mentre suonava Chopin, Liszt e Franck. Finite le sessioni, si regalò una passeggiata lungo il Tevere e visitò le chiese di San Crisogono, San Bartolomeo dell’Isola e Santa Maria in Cosmedin. A leggere il suo diario, doveva essere di buon umore. Se non per altro, per essere diventato il primo solista della Storia ad aver avuto la possibilità di riascoltarsi facendo girare una bobina.
A quel punto della sua carriera, il 47enne «Miecio» era già una leggenda a geografia variabile. Nato nel 1892 a Leopoli quando era austroungarica (oggi è ucraina), si considerava polacco come la madre pianista e il padre commerciante che i pianoforti li vendeva. Fu un bimbo prodigio, tenne il primo concerto nel 1901, suonando Beethoven, naturalmente a Varsavia. Appena quattordicenne lo troviamo alla Carnagie Hall di New York, prima tappa di un tour mondiale durato quasi un secolo, perturbato da due orrende guerre e interrotto solo quando, ventenne, si installò a Parigi per studiare filosofia e storia dell’arte. Poi riprese a suonare senza sosta, per nulla penalizzato dalle piccole dita, coerenti con la taglia minuta. Visse a Milano, negli States e ancora in Europa. Quindi si stabilì a Filadelfia nel 1940 e divenne cittadino americano.
Per tutta la sua lunga vita, conclusasi nel 1993 a centouno anni, «Miecio» fu ammirato ed amato perché, per dirla col musicologo newyorchese Allan Evans, «il suono del piano nelle sue mani cambiava completamente con ogni compositore». Con lui alla tastiera, rileva il fondatore della Arbiter Records, «non solo la musica diventava viva, ma suggeriva simultaneamente altre possibilità di interpretazione». Grazie a lui, insomma, Bach, Mozart, Chopin e Debussy erano sé stessi e anche qualcosa di più.Fu proprio la versatilità a convincere Radio Vaticana che Horszowski era quello che cercavano. Avevano la macchina, il «Magnetophon», ma senza un pianista versatile l’esperimento sarebbe potuto facilmente fallire, doppia disgrazia visto che si celebrava il primo anno di pontificato di Pio XII. Quel tipo di registratore era stato usato una sola volta prima, nel 1936 con la Sinfonia 39 di Mozart della London Philharmonic Orchestra di Sir Thomas Beecham. Il risultato era stato insoddisfacente e i musicisti avevano lamentato l’insufficiente qualità del suono. Una sfida difficile e importante attendeva i tecnici d’Oltretevere.
Appena giunto a Roma, il 24 febbraio 1940, «Miecio» fece una doppia visita agli studi della Radio, ospitati nei Giardini vaticani presso la Palazzina Leone XIII, «con padre Peitz e padre Pellegrino». Era preludio alla prima giornata di prove calendarizzata per il giorno dopo. Nella capitale, come nel resto del Paese, si tirava un’aria incerta. Mussolini stava per cedere alle malefiche sirene della guerra, mentre la Germania preparava l’offensiva occidentale. Il diario del pianista, riemerso grazie alla Arbiter, racconta una vita sociale intensa nella città eterna. «Una cena con [il compositore Vincenzo] Tommasini» il 26. La mattina successiva prove in Vaticano poi un’altra serata mondana, con Wally Toscanini (secondogenita del direttore d’orchestra) il musicologo Ildebrando Pizzetti e lo scrittore/musicista Massimo Bontempelli.
«Visita a padre Peitz: dal terrazzo, magnifica la vista sul Tevere», scrive il 28 febbraio. «Miecio» è tranquillo e la registrazione scorre senza apparenti intoppi, una resa fedele, con appena un live fruscio. Il primo marzo suona Chopin per il Papa e il cardinale polacco Hlond gli confessa che «siamo orgogliosi di te». Il 3 marzo partecipa alla messa officiata da Pio XII, «colpito» dalla sua omelia. Inebriato, il pianista va in gita ai Castelli «per godere del tramonto sulla campagna», visita Castel Gandolfo e si concede i canti gregoriani a Sant’Anselmo. Il 6 marzo incontra il Papa che lo benedice: «Può fare del bene con la musica perché ha un effetto salutare sui cuori della gente». Il 9 marzo è a Milano, il 14 aprile salpa da Marsiglia per il Sud America. La guerra sta per cambiare fronte e assumere toni diabolici. Non tornerà per anni in Europa.
Il nastro resta invece in un armadio, dimenticato sino al 1993, quando un archivista della Radio Vaticana ritrova la bobina e ne fa una trascrizione digitale prima che si disintegri per sempre. Fantastico, ma non sarebbe successo nulla se Allan Evans non fosse andata a cercarla, e ottenuta l’autorizzazione di Bice Costa – pianista italiana e vedova di «Miecio» – non l’avesse pubblicata per la Arbiter (www.arbiterrecords.org) regalando alle nostre orecchie una rivisitazione pianistica incredibile che arriva «da molto lontano» con tragica passione. «Uno sherpa» per chi ama la classica, lo immagina Evans, «archeologo» di nastro perduti di Horszowski, ancora convinto che esistano altre incisioni da scoprire. «La ricerca continua», assicura. Come la magia del polacco di Filadelfia, piccolo grande pianista dal talento contagioso e infinito.