La Stampa, 5 luglio 2018
Dal petrolio al nuovo esercito, così Baghdad riprende potere
Le mitragliatrici montate su torrette automatizzate, in grado di essere azionate a distanza, punteggiano la barriera ad alta tecnologia lungo la frontiera con la Siria. La striscia di filo spinato è dotata di sensori che possono individuare movimenti sospetti a centinaia di metri e mettere in allerta le pattuglie. L’esercito iracheno ha presentato tre giorni fa, con grande spolvero, il primo tratto del sistema di sicurezza che servirà a controllare le infiltrazioni dei jihadisti dell’Isis dal deserto siriano. Rispetto a quattro anni fa, quando intere divisioni si erano squagliate e le colonne agli ordini di Abu Bakr al-Baghdadi marciavano su Baghdad, è un altro esercito, e un altro Paese. La vittoria sullo Stato islamico ha ridato orgoglio ed energia all’Iraq. La produzione di petrolio ha raggiunto il mese scorso i 4,1 milioni di barili, un record, e con le quotazioni a 80 dollari al barile anche le casse dello Stato si stanno riempiendo di nuovo.
La stabilità
Le forze armate ora sono equipaggiate con il meglio che arriva dagli Stati Uniti e dalla Russia. Carri Abrams e T-90, F-16 e Mig-29. Il premier Al-Abadi ha usato la lotta al terrorismo per mantenere l’equidistanza fra americani e russi, e fra iraniani e sauditi. E spera che il suo successore, chiunque sia, continui così. L’ottimismo ha contagiato anche le relazioni con i curdi. Dopo il referendum sull’indipendenza del 25 settembre scorso c’era stata una guerra interetnica a Kirkuk, ripassata sotto il controllo federale. Ma le tensioni si sono allentate con il passare dei mesi. L’indipendenza è stata archiviata, il blocco degli aeroporti e dei valichi di frontiera ritirato, Peshmerga e forze governative hanno anche lanciato questa settimana la prima operazione congiunta contro le nuove cellule dell’Isis nella provincia di Kirkuk. Baghdad, e i curdi, vogliono dare segnali di unità, perché la minaccia jihadista ha rialzato la testa, con rapimenti e raid notturni, fino all’uccisione di sei uomini delle forze di sicurezza, sequestrati e torturati. Il governo ha risposto con l’esecuzione, anticipata, di 12 condannati a morte per terrorismo. Un gesto sbrigativo teso a placare l’opinione pubblica inferocita.
C’è la voglia di voltare una volta per tutte la pagina dell’Isis. Più a Sud, nella rovente estate mesopotamica, la maggior parte dei quartieri di Baghdad, per la prima volta da anni, hanno elettricità per 24 ore al giorno. Persino l’incendio del magazzino che conteneva milioni di schede da ricontare, per presunti brogli alle elezioni del 12 maggio scorso, una provocazione grave, si è risolto senza scontri. La paventata guerra civile fra le diverse fazioni sciite che ora si contendono il potere non c’è stata. Anzi, tutti parlano con tutti attorno al pivot Moqtada al-Sadr, vincitore a sorpresa, brogli o non brogli, della prima sfida elettorale del dopo-Isis. Il riconteggio parziale delle schede è cominciato lunedì e sarà monitorato da rappresentanti delle Nazioni Unite, diplomatici di vari Paesi e rappresentati dei partiti.Al-Sadr, non eletto in Parlamento, non può fare il premier nonostante il suo blocco elettorale, di un populismo islamico di sinistra che include anche il Partito comunista, abbia la maggioranza relativa con 54 seggi su 329. È il «king maker» e alla porta di casa sua bussano tutti. Anche il rivale Hadi al-Amiri, l’uomo di Teheran, amico del leader dei Pasdaran Qassem Suleimani, un secondo «king maker» in Iraq. Al-Sadr e Suleimani sono ai ferri corti da febbraio, quando il generale ha puntato su Al-Amiri. E ha perso la scommessa. Al-Sadr ha parlato anche con il premier Haider al-Abadi, che non è escluso rimanga in sella in un governo di compromesso. Ma il nome che potrebbe uscire dal cilindro è Dia Asadi, 49enne avvocato di Bassora, un «difensore dei diseredati» che piace molto ad Al-Sadr, spigliato, con un buon inglese e rapporti cordiali con tutti i diplomatici della capitale. Un nome nel segno dell’equidistanza.