Corriere della Sera, 5 luglio 2018
Guardie del corpo e procuratrici. I campioni allevati dalle supermamme
Chissà se Pep Guardiola quando pronunciò la celebre frase «Io sono come una donna, sono multitasking» aveva in mente qualcuna di loro: le «super mamme» del Mondiale hanno tirato su da sole i loro figli diventati campioni, facendo anche da padre, oppure li hanno allenati, seguiti come ombre, consigliati in ogni loro passo come procuratori, ma con una marcia in più: a giudicare dal risultato, anche se mancano ancora dieci giorni per sapere come andrà a finire, loro sono già campionesse del mondo.
Il caso più clamoroso riguarda il Brasile, dove la dissoluzione o la totale assenza del nucleo familiare è una piaga sociale: sei titolari della Seleçao sono cresciuti senza un padre biologico, ma hanno avuto delle mamme che si sono fatte in due per loro. È per questo che ogni volta che fa gol il 21enne Gabriel Jesus, che gioca nel Manchester City di Guardiola, fa il gesto della cornetta telefonica e simula uno dei momenti chiave della sue giornata: la chiamata alla madre, Vera Lucia. Peccato che al Mondiale, in assenza di gol, non sia ancora partita nessuna interurbana per San Paolo.
Anche Miranda, Paulinho, Casemiro, Marcelo, Thiago Silva, oltre ai riservisti Taison e Cassio, devono ringraziare il coraggio delle loro mamme. I padri spesso si sono dati alla macchia: quello del terzo portiere Cassio lo hanno anche cercato, senza trovarlo, attraverso una trasmissione tv, nonostante il giocatore fosse contrario. Ma la madre di Miranda rimase vedova quando l’interista aveva 11 anni. E altri 11 fratelli. Sdrammatizzando, si può dire che era come avere una squadra di calcio in casa, e che la donna è stata la prima allenatrice del ragazzo diventato un grande difensore. Del resto è in buona compagnia, perché la mamma di Eden e Thorgan Hazard, oltre ad avere una certa fantasia per i nomi, giocava a calcio nella serie A belga: è stata in campo fino al terzo mese di gravidanza, poi dopo la maternità ha continuato nelle serie minori. La madre di Alisson giocava in porta come il figlio. Ma in un club di pallamano. Stesso sport della signora Mbappé, che ha usato la sua conoscenza dello sport per non mollare di un centimetro Kylian nella sua irruzione a suon di gol nel calcio dei milioni e delle tentazioni: più che una procuratrice, una body guard. Mentre la mamma di Pogba, forse la più celebre per le sue comparse in abiti sgargianti alle cerimonie del Pallone d’oro è una che ha tenuto testa a Sir Alex Ferguson quando il ragazzo decise di andare a cercare fortuna alla Juve.
Cercare fortuna comunque è un concetto molto ampio: quando il padre dell’attaccante Sterling fu ucciso in Giamaica, lui aveva due anni. La madre prese e partì per Londra, lasciandolo coi nonni. In Inghilterra lavorava e studiava e dopo tre anni aveva soldi a sufficienza per far arrivare i suoi figli, che al mattino la aiutavano a fare le pulizie a scuola. «Lei è una guerriera e le migliori scelte di mercato le ho fatte solo grazie a lei – ha raccontato il giocatore —. Ha sacrificato la sua vita per me. Ma adesso lei dirige una casa di riposo e io gioco per l’Inghilterra». Quella multitasking però è sempre la mamma.