Corriere della Sera, 5 luglio 2018
Bocelli: «Puccini è stato ed è ancora compagno di giochi e sogni»
Si comincia in Gloria. «Si comincia dall’inizio. La Messa di Gloria è l’esordio musicale di Puccini, il suo saggio d’esame. Aveva 22 anni. E se il buon giorno si vede dal mattino…», sospira Andrea Bocelli che il 6 luglio, Carlo Bernini sul podio, aprirà a Torre del Lago il 64 esimo Festival pucciniano con quello che lui considera «il primo capolavoro del maestro di Lucca».
Partitura giovanile ma già matura
«L’architettura musicale solenne, la perizia contrappuntistica, i chiaroscuri dei caratteri lasciano trasparire “il Puccini che sarà”. Che già mostra di sapere trattare le voci. E anche di metterle alla prova. L’aria d’apertura, Gratias agimus tibi, è tra le più impervie per voce tenorile, richiede fiati lunghi… Ma è anche tra i momenti più toccanti di un brano che lui amava molto, tanto da citarne alcuni temi in Manon Lescaut e in Edgar».
È anche l’unico brano sacro di Puccini. Secondo lei era credente?
«Difficile a dirsi… Osservante forse no, ma religioso, penso di sì. Un dono come il suo non è figlio del caso, quella musica veniva dal Cielo. E lui certo lo sapeva».
Il suo legame con Puccini è di lunga data...
«Ho iniziato ad amarlo prima ancora di saper leggere e scrivere. Per caso scoprii Che gelida manina e ne restai folgorato. E Bohéme fu anche la prima opera che, ragazzino, ascoltai qui a Torre del Lago. Cantava Corelli, il mio idolo. Poi arrivarono le altre opere, Tosca, Turandot… Cantavo quelle arie, fantasticavo su quelle storie, immaginando di esserne il protagonista. Puccini è stato il mio compagno invisibile di giochi e di sogni. E lo è ancora».
Il suo debutto al Festival come cantante?
«Nel 2004 con Tosca. Ero Cavaradossi, dipingevo appeso a un trabattello, i due paggetti che mi portavano i colori erano i miei figli. Amos, ora laureato in ingegneria aerospaziale e diplomato in pianoforte, e Matteo, che studia canto al conservatorio».
Bella voce?
«Molto bella e molto grande, il doppio della mia. Mi sa che cantare sarà il suo destino, anche se, conoscendo le difficoltà e le tensioni del mestiere, avrei preferito che facesse altro. Ma avendo sempre predicato la libertà di scelta, non posso oppormi».
E oggi, cosa vuol dire per lei tornare a Torre del Lago?
«Un’emozione a cui non mi abituo. Una sensazione strana, difficile da spiegare. Ogni volta che arrivo qui non posso fare a meno di portare un fiore sulla sua tomba, di accarezzare il suo piano. Questo luogo è magico e questo festival che si affaccia sul suo lago, accanto alla sua casa, è di importanza fondamentale. Se gli americani avessero Torre del Lago ne avrebbero fatto una miniera d’oro. Mentre noi, la patria del bel canto, buttiamo via i nostri tesori».
Cosa prevede la sua estate?
«A fine luglio l’appuntamento è al mio Teatro del Silenzio a Lajatico. Stavolta con Andrea Chénier di Giordano. E l’8 settembre sarò in Arena, per il mio show di musica e solidarietà con artisti quali Carla Fracci e Leo Nucci, Isabel Leonard, Aida Garifullina, Sergei Polunin… Un modo per festeggiare i miei 25 anni di palcoscenico e raccogliere fondi a sostegno dei progetti della mia Foundation e del Muhammad Ali Parkinson Center».
Il 26 ottobre esce il suo nuovo album, «Sì».
«Bel titolo vero? L’ha proposto mio figlio, l’ingegnere. Sì è una parola breve ma chiave. Quella che tutti speriamo di sentirci dire. Per un bacio, un abbraccio, un perdono… La vita ha troppi no, il mio “Sì” è un invito a realizzare i desideri».
Non facile in tempi duri come questi.
«Di tempi duri sento parlare da quando sono nato. È sempre stato il peggior momento, la crisi più nera… In realtà stiamo vivendo un benessere mai visto prima. Sono fiducioso del futuro. E dico sì, mille volte sì, a quel dono meraviglioso che è la vita».