Corriere della Sera, 5 luglio 2018
L’isola di sole donne e gli altri club (che non piacciono alle femministe)
L’isola delle donne esiste: si trova nel Mar Baltico, di fronte alle coste della Finlandia, ed è accessibile solo a ospiti di sesso femminile. Ha un nome potente, «SuperShe Island», «Isola delle SuperLei»: ed evoca il fatto che è aperta esclusivamente a un pubblico selezionato. Per essere ammesse bisogna superare una rigorosa intervista e, soprattutto, essere disposte a pagare 4 mila euro per una settimana di soggiorno.
Cosa si fa, una volta ottenuto l’ingresso? Si ha la possibilità di trascorrere una settimana in un resort dedicato al benessere ma soprattutto alla larga dagli uomini, in compagnia di altre donne dello stesso livello: ci si può dedicare a lezioni di yoga e a esercizi cognitivi per combattere il pensiero negativo, il tutto accompagnato da una dieta rigorosamente organica. Come spiega sul sito la fondatrice di SuperShe, Kristina Roth, «le donne hanno bisogno di passare del tempo con altre donne. Andare in vacanza con gli uomini le porta a distrarsi, fosse anche solo per mettersi il rossetto o afferrare un pareo».
Ma «SuperShe Island» non è l’unico spazio femminile di lusso. Negli ultimi tempi è tutto un fiorire di iniziative: al principio dell’anno, per esempio, ha aperto a Londra «AllBright», un club per sole donne che si presenta come l’antitesi dei gentlemen’s club, dove fino a poco tempo fa (e ancora oggi in alcuni casi) le signore non erano ammesse. L’«AllBright» si rivolge innanzitutto alle professioniste della City e la quota di iscrizione annua è di oltre 1.100 euro. Sempre nella capitale britannica sta per sbarcare «Wing», uno spazio di co-working tutto al femminile che ha già avuto successo in America: e per fruirne bisogna pagare oltre duemila euro l’anno. Allo stesso modo il mese prossimo in Gran Bretagna si svolgerà il «Women Fest», il primo festival per sole donne: il biglietto è di oltre 250 euro, cifra non modica per questo tipo di eventi, di solito indirizzati ai giovani.
È una tendenza sicuramente interessante: ma forse ancora più interessante è che si sia attirata gli strali di commentatrici femministe. Come la columnist del Guardian Arwa Mahdawi, che ieri ha definito «SuperShe Island» «un inferno falso-femminista». Perché il dubbio è che questi spazi per le donne si dipingono come «emancipanti» ma in realtà sono soltanto elitari.
La Mahdawi non nega che viviamo ancora in un mondo dominato da maschi bianchi e che le donne e le minoranze abbiano bisogno di luoghi in cui ritrovarsi. Ma definisce questa tendenza verso spazi femminili super-esclusivi «nauseante», perché usano il femminismo «come uno strumento di marketing» e «parlano di sorellanza mentre sembrano interessarsi soltanto a migliorare la condizione di poche donne già ricche».
È un punto di vista già emerso a proposito del dibattito suscitato dal #MeToo: diverse commentatrici, almeno qui in Gran Bretagna, hanno fatto notare come questa ondata neo-femminista sia spesso appannaggio di donne privilegiate, ben lontane dalla condizione e dai problemi comuni. E hanno stigmatizzato il fatto che in certi casi il femminismo sembra diventato un orpello indossato a scopo auto-promozionale.
È quello che in sostanza sostiene anche la columnist del Guardian. «Non è questo il femminismo», scrive. A lei sembra piuttosto che questi spazi elitari facciano compiere passi indietro all’eguaglianza di genere. E conclude tagliente: «Per quanto mi riguarda, SuperShe Island può affondare nel mare».