Corriere della Sera, 5 luglio 2018
Un «filo d’Arianna» di 2 km per portare fuori dalla grotta i ragazzini thailandesi
Le operazioni di soccorso dei 13 ragazzi chiusi nella grotta si dividono in due grandi filoni: uno subacqueo e uno in superficie. Ci lavorano oltre mille persone, tra sommozzatori, militari, medici e tecnici. La più grande operazione di recupero in una cava che la Thailandia abbia mai visto non ha ancora una conclusione certa, ma il «mega cantiere» allestito per il salvataggio lavora senza sosta.
I tubi drenantiLa cava è in gran parte allagata. I tecnici dell’esercito thailandese hanno srotolato centinaia di metri di tubature drenanti che risucchiano 68 mila metri cubi d’acqua al giorno, per ridurre al minimo le «stanze» completamente ostruite. Le aste gialle e nere con cui misurano la profondità del fiume di fango dicono che lo sforzo sta producendo un piccolo risultato: il livello scende di 1 centimetro ogni due ore. Ma tutto il lavoro potrebbe diventare del tutto inutile se venerdì dovesse abbattersi sulla grotta il nubifragio atteso dalle previsioni. In quel caso l’ipotesi di far immergere i ragazzi rischia di naufragare in un mare di detriti, a favore del piano B: tenerli lì sotto, nelle parti asciutte, per diversi mesi.
L’attrezzatura da subQuello con cui i due sommozzatori inglesi sono arrivati alla posizione dei ragazzi è un equipaggiamento speciale: uno di loro, John Volanthen, è uno dei massimi esperti nell’utilizzo estremo del rebreather, un sistema complesso a circuito chiuso per respirare che garantisce un’autonomia sott’acqua nettamente superiore ai tradizionali sistemi. Difficile venga utilizzato anche per i ragazzini: è possibile che si attacchino direttamente all’attrezzatura dei sommozzatori, in quel caso normali bombole (un C130 militare ne ha portate sul posto 300, insieme a 2 mila torce e 25 mute) che generalmente sono riempite con una miscela particolare di ossigeno, elio e azoto. Nessuno di loro finora ha provato a entrare in acqua, ma i soccorritori stanno provando a far loro prendere confidenza con delle classiche maschere da sub. Le autorità thailandesi hanno richiesto però anche l’invio di piccole maschere «full face», che coprano tutta la faccia dei bimbi: così non dovrebbero tenere il respiratore tra i denti, col pericolo di perderlo.
L’orientamentoLe immersioni in grotta hanno due difficoltà ulteriori: non si può tornare in superficie, ma eventualmente solo indietro; e spesso, soprattutto nelle parti più strette, ogni minimo movimento può portare alla perdita anche totale della visibilità. Per questo i sub impegnati a Tham Luang, tutti dotati di caschi con torce incorporate, stanno srotolando un «filo di Arianna»: un sistema di cime dall’ingresso della grotta fino al punto in cui si trovano i giovani calciatori, a cui aggrapparsi per ritrovare la via d’uscita. È probabile che distribuiscano lungo il percorso alcune stazioni di decompressione, in cui riprendersi tra un passaggio e l’altro.
Trivelle e caviBucare la montagna non è fantascienza: il Dipartimento delle risorse minerarie ha proposto di trivellare in tre punti la cava, per avvicinarsi il più possibile al punto dove si trovano i ragazzi. Il macchinario difficilmente riuscirà in tempi brevi a perforare i circa 700 metri di profondità che separano la squadra di calcio dalla superficie. Fa parte del piano B, quello a lungo termine. In cui tornerebbe ancor più utile il cavo in fibra ottica che presto permetterà ai ragazzi di comunicare per telefono con i genitori. Un piccolo passo verso il ritorno alla vita.