Libero, 4 luglio 2018
L’80% dei soldi donati agli africani è stato sperperato
Non sapremmo dire se, al Consiglio europeo della scorsa settimana, sia stato più furbo Emmanuel Macron o più ingenuo Giuseppe Conte. Vi è, comunque, una certezza: la bomba immigrazione, dopo il vertice di Bruxelles, è stata caricata interamente sulle spalle dell’Italia, pur sapendo che essa è destinata ad esplodere pericolosamente in assenza di una operazione collettiva di disinnesco. Infatti, le informazioni che giungono dalla Libia e da altri Paesi vicini parlano di almeno 700 mila persone in attesa di avventurarsi su una qualsiasi imbarcazione di fortuna, pur di raggiungere le nostre coste. Numeri che aumenteranno nei prossimi anni a causa dell’aggravarsi – come ricordano i ricercatori della Free Africa Foundation – delle ataviche arretratezze del continente africano, ricco di risorse, ma con una popolazione ridotta alla fame da una classe dirigente inetta e corrotta. Né si può pensare che i 500 milioni di euro che l’Ue stanzierà per l’Africa possano servire un granché. Sfatiamo un altro mito: non basta dire «aiutiamoli a casa loro», per risolvere il problema. L’intera storia degli aiuti occidentali ai Paesi africani è segnata da sperperi e fallimenti clamorosi. Riportiamo qualche cifra – la fonte è sempre quella del think tank africano – giusto per avere le idee più chiare. Le Nazioni Unite nel lontano 1985 vollero aprire una sessione speciale sull’Africa, con l’obiettivo di stimolare razionali progetti di modernizzazione. Si calcola che nei decenni successivi ci siano stati finanziamenti per 25 miliardi di dollari. Dove siano finiti e come siano stati impiegati è ancora un rebus. Sempre gli uffici dell’Onu hanno accertato che negli anni ’90, 200 miliardi di dollari, inviati per lo sviluppo dell’area subsahariana, si sono volatilizzati, ricomparendo, con un colpo di magia, su conti esteri riconducibili perlopiù al personale politico di diversi governi. La Banca mondiale ha stanziato in 20 anni almeno 40 miliardi di dollari, per favorire il passaggio di 29 Paesi a un sistema economico di libero mercato. Dopodiché, la stessa Banca ha ufficializzato la lista dei Paesi in cui sono stati raggiunti risultati apprezzabili. È successo in soli sei casi: Gambia, Ghana, Burkina Faso, Nigeria, Tanzania e Zimbabwe. Il fallimento, invece, ha riguardato l’80% degli Stati coinvolti. La verità è che in Africa i cittadini più ricchi sono i presidenti, i loro ministri e le rispettive famiglie. Ha scritto l’economista ghanese, con cattedra all’American University, George Ayettey : «L’Africa soffre la fame perché la sua agricoltura è stata distrutta da guerre civili che i numerosi clan hanno combattuto per assicurarsi posizioni di potere. Le risorse di cui l’Africa ha bisogno possono essere reperite al suo interno: basterebbe che i suoi leader fossero disposti a riformare i loro sistemi politici, a privilegiare l’agricoltura e a investire i loro capitali a casa propria. Ma le leadership non hanno alcuna intenzione di farlo, preferendo continuare a battere cassa in Occidente». Insomma, gli aiuti possono anche continuare ad arrivare a fiumi, ma a poco serviranno se non si lavorerà per fare nascere istituzioni trasparenti in grado di dare garanzie circa l’effettiva utilizzazione pubblica degli ingenti flussi di denaro. Va da sé che un tale cambiamento, ammesso che possa avvenire, richiede tempi molto lunghi misurabili, senza esagerare, in decenni, se non di più. Se le cose stanno così, la dura battaglia che il ministro dell’Interno Matteo Salvini ha ingaggiato con l’Europa, affinché venga affrontato su un terreno comune il problema dell’accoglienza dei migranti, si trova solo alle prime battute e si preannuncia piena di difficoltà. Occorre avere consapevolezza, però, che perderla significa essere disposti ad essere travolti, nei prossimi anni, da uno tsunami migratorio destinato ad avere, secondo le previsioni più accreditate, un carattere epocale. È questo il vero banco di prova sia per il nostro governo che per il futuro dell’Unione europea.