il Fatto Quotidiano, 4 luglio 2018
Milan, la disastrosa gestione B. Così il cinese ha salvato Fininvest
Per capire al di là della stretta cronaca il disastro Milan e il ginepraio in cui il club si è venuto a trovare tra proprietari inaffidabili e sanzioni Uefa, occorre riavvolgere il nastro e tornare alle origini. C’è un peccato originale infatti che ha messo la società calcistica e il suo enigmatico compratore Yonghong Li su un binario morto segnato fin dall’inizio. Quel vizio capitale è da ricercare nella Fininvest.
Il bilancio 2017, approvato nei giorni scorsi, della holding della famiglia Berlusconi mette in luce i motivi veri della cessione. La Fininvest esce infatti del tutto pulita dall’agonia decennale del Milan. Con l’incasso di 606 milioni dalla vendita al fantomatico cinese, si è messa definitivamente al riparo dalla zavorra che rischiava di affondare l’intero gruppo finanziario. Il Milan non era guaio da poco per Marina Berlusconi. Seconda partecipazione per peso nella finanziaria, subito dopo Mediaset, ma segnata pesantemente dal corollario di perdite plurimilionarie decennali e svalutazioni continue. Solo tra il 2015 e il 2016 il Milan era stato svalutato per 92 milioni dai conti Fininvest. Nel 2016 l’anno della comparsa in scena di Li, il valore di carico del club rossonero nel bilancio della finanziaria di famiglia era di 560 milioni. Se Berlusconi avesse ceduto a un prezzo più basso, una nuova ondata di svalutazioni avrebbe di nuovo macchiato i conti. Occorreva trovare qualcuno disposto, non solo ad accollarsi 220 milioni di debiti, ma a riconoscere un valore del capitale di oltre mezzo miliardo. Solo così si poteva uscire dalla partita ormai persa del Milan senza nuovi scossoni.
Trovare però come si è visto un acquirente disposto a strapagare il Milan non era facile. E la lunga trattativa prima con un altro oscuro personaggio, il thailandese Mr. Bee, poi la lunga e opaca telenovela mai chiarita con Mr. Li, la dicono lunga sulle difficoltà di trovare qualcuno disposto a sacrificarsi e sulla consueta genialità finanziaria del cavaliere capace di trasformare in oro quel che tocca. Già, perché mezzo miliardo di valore del capitale era ed è del tutto irrealistico. Il vero prezzo sta uscendo ora con i nuovi possibili acquirenti, a sostituire quel che appare sempre più una testa di legno pro-Fininvest, disposti a valutare il club tra i 200 e i 250 milioni, la metà del prezzo. Che era quello vero fin da allora, all’atto del contratto firmato con l’enigmatico imprenditore cinese. Come si fa a chiedere oltre 500 milioni per il solo equity per una società che fatturava poco più di 200 milioni? Oltre due volte i ricavi, che è già tanto, ma soprattutto per un gruppo che tra il 2015 e il 2016 ha perso oltre 160 milioni, ha sempre avuto margini negativi, non aveva uno straccio di flussi di cassa e aveva nel 2016, l’anno del contratto firmato con Li, patrimonio netto negativo per 50 milioni? Una follia. Voleva dire valutare, con sfrontatezza assoluta, il Milan, che ha cumulato perdite ininterrotte nell’ultimo decennio per oltre 600 milioni, quasi due volte il valore di Borsa della Juve all’epoca.
Ma c’era e c’è, a maggior ragione oggi, un abisso nei conti tra la Juve vincente che fa ricavi più che doppi rispetto al Milan e soprattutto fa utili e non aveva capitale negativo come il Milan. Un gioco da prestigiatore, da illusionista come solo il Cavaliere sa fare. Occorreva solo trovare l’ingenuo disposto a strapagare il club. Ingenuo o uomo-ponte non lo sappiamo ancora. Certo fin dall’inizio il signor Li non aveva i mezzi finanziari per l’impresa. Basti pensare al prestito da 300 milioni a tassi elevatissimi chiesto a Elliot che di fatto oggi se escute il pegno è il vero padrone del Milan. E che Elliot, che i conti li sa fare, non si sia spinto a finanziare per non più di 300 milioni fa capire qual era il vero valore del Milan.
Un gioco da maestri quello condotto da Berlusconi che ha fatto pari e patta nella partita di cessione della squadra. Che era da tempo l’incubo della figlia Marina, costretta a svalutare ogni anno nei conti Fininvest il peso del Milan. Peso che ora non c’è più e che ha consentito di uscire a valori in linea con i prezzi di carico. Tanto da riequilibrare il bilancio Fininvest che è passato da una perdita a livello consolidato per 120 milioni nel 2016 a un utile per oltre 600 milioni dell’anno scorso. Tutto merito della cessione a prezzi d’affezione del Milan. Vendere un club dissestato, senza più patrimonio, con perdite che valgono un terzo dei ricavi a un valore più che doppio rispetto al valore presumibile di mercato. Non solo. Berlusconi si è fatto valorizzare dal fantomatico Li oltre mezzo miliardo il capitale e ha pure avuto indietro 90 milioni, sempre da Li, come rimborso dei versamenti in conto capitale per ripianare le perdite, fatti da Fininvest tra il 2016 e il 2017.
Ora tutti a inveire contro il cinese che non onorando l’ultima trance di aumento di capitale ha consegnato il Milan all’esclusione dall’Europa League. Ma anche qui a guardar bene Li c’entra poco. I bilanci che sforavano i requisiti finanziari del fair play Uefa sono quelli dal 2014 al 2107. Li ha responsabilità solo per 6 mesi, gli altri sono tutti a carico della gestione Berlusconi. È il Cavaliere che faceva giocare il Milan con bilanci non conformi ai dettati Uefa. In quei 3 anni dal 2014 al 2016 non solo accumula perdite record per 260 milioni, ma il club gioca con capitale netto negativo e si troverà per i successivi anni a contare su un patrimonio talmente esiguo da valere solo pochi punti percentuali sul totale del bilancio pieno solo di debiti. In fuorigioco sul piano finanziario per anni. E Li non c’entra davvero nulla.