Il Messaggero, 4 luglio 2018
«Ho salvato tanti piccoli con il mio sangue d’oro». Intervista al donatore l’australiano che ha un anticorpo rarissimo
Non fatevi ingannare dal suo aspetto. A vederlo può sembrare una persona come tante: un nonnino sorridente che ama viaggiare con la sua roulotte. In realtà, James Harrison, australiano di 81 anni, è un vero e proprio supereroe. Di quelli senza mantello o maschera, ma con un superpotere: gli basta sollevare la manica della camicia per salvare la vita di molti bambini ben prima che lascino il pancione della mamma. Harrison, soprannominato the man with the golden arm, l’uomo dal braccio d’oro, ha infatti un ingrediente speciale nel sangue, un prezioso anticorpo che permette di prevenire la Malattia emolitica del neonato (Men), che si manifesta quando il sangue della mamma è Rh negativo ed entra in contatto con quello del figlio che ha in grembo che è invece Rh positivo.
In genere, in gravidanza non avvengono scambi di sangue, se non al momento del parto. Il contatto non causa subito problemi, ma porta l’organismo della mamma a produrre anticorpi contro i globuli rossi del figlio, che vengono riconosciuti come qualcosa di estraneo da eliminare dal sistema immunitario, che ne conserva poi memoria. Nel caso di gravidanze successive con un nuovo feto RH positivo, il sistema immunitario materno attacca il futuro bambino, causando problemi gravi che possono portare a un aborto spontaneo o a nascite di bambini con gravi disabilità mentali.
Con il sangue di Harrison sono stati prodotti milioni di dosi di un farmaco, chiamato Anti-D, in grado di prevenire lo sviluppo della Men. La croce rossa australiana stima che il superdonatore, riconosciuto anche dal Guinness World Records, abbia salvato la vita a quasi 2 milioni e mezzo di bambini. Ora però che ha raggiunto gli 81 anni d’età, per legge, non potrà donare più il suo sangue. «Questo significa che avrò un paio di ore a settimana in più da dedicare ai miei nipoti e ai miei hobby», dice il donatore australiano che ora si sta godendo una vacanza nel Queensland.
Non le dispiace sapere che il suo sangue non potrà salvare la vita di altri bambini?
«Sì, mi dispiace. Ma ho donato sangue e plasma per 62 anni e mi reputo molto fortunato per aver avuto la possibilità di aiutare tante donne e bambini».
Ci sono mamme o bambini che le sono rimasti nel cuore anche dopo molto tempo?
«Sì. Ho incontrato tante mamme con e senza i loro figli. Ricordo con piacere due donne che, grazie al mio sangue, hanno avuto 7 figli ciascuna. Ho anche conosciuto una donna, la cui mamma ha messo al mondo ben 13 figli sani grazie al mio sangue. Ma le donne e i bambini coinvolti nel programma Anti-D sono tantissimi. Sono tutti preziosi, ma naturalmente quello che mi è più caro è mio nipote».
Il suo sangue ha aiutato anche suo nipote?
«Sì, mio nipote Scott che la scorsa settimana ha compiuto 23 anni. Mia figlia Tracey, infatti, ha ricevuto l’iniezione Anti-D dopo la nascita del suo primo figlio. Poi è arrivato Scott e lui è il bambino che più di tutti sono contento di aver aiutato affinché venisse al mondo sano».
Quando ha deciso di diventare un superdonatore?
«Tutto è iniziato nel 1951, quando avevo 14 anni. All’epoca sono stato sottoposto a un’operazione al torace, in cui i medici hanno rimosso un polmone. Quando mi sono risvegliato dall’intervento, o un paio di giorni dopo, mio padre mi spiegò quello che era successo. Ricordo che mi disse di aver ricevuto 13 litri di sangue e che se ero ancora vivo lo dovevo a persone sconosciute. Promisi così di diventare io stesso un donatore di sangue non appena avessi raggiunto l’età per farlo. Così è stato. Qualche anno dopo ricevetti una chiamata dai dottori i quali mi spiegarono che il mio sangue poteva essere d’aiuto a molti bambini perché aveva uno speciale anticorpo. Negli anni 60 ho lavorato insieme ai medici per sviluppare un’iniezione chiamata poi Anti-D e che avrebbe permesso a molte donne di partorire bambini sani».
Non è stato un peso donare per così tanti anni?
«No. Alla fine non ho dovuto rinunciare a nulla per farlo. Anzi sono stato coinvolto in molte organizzazioni per tantissimi anni e di questo sono felice».
Ma è vero che aveva paura degli aghi o è solo una diceria? «Sì, avevo e ho paura degli aghi. Non ho mai superato questa mia fobia».
E come ha fatto a donare così tante volte?
«Dopo 1.173 iniezioni, ogni volta che facevo una donazione pensavo a tutte quelle precedenti. Comunque, cerco di non guardare mai l’ago entrare. Guardo il soffitto o le infermiere, parlo un po’ con loro. Non sopporto proprio la vista del sangue».
Ora che è in pensione come donatore, quali sono i suoi progetti?
«Sono in pensione dal lavoro da ben 28 anni. Sono stato direttore amministrativo del sistema ferroviario del Nuovo Galles del Sud. In questi anni ho viaggiato in roulotte, ho fatto giardinaggio e coltivato molti altri hobby. Quelle poche ore a settimana che prima spendevo nella donazione ora verranno dedicate alla mia famiglia».