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 2018  luglio 04 Mercoledì calendario

Il Nobel Rubbia: «Stanerò la belva che si nasconde»

Sembra inutile, se misurato con i parametri della vita di tutti i giorni. Ma, se lo si proietta nell’Universo, è una belva straordinaria che fa cose straordinarie. È tutt’altro che una semplice “footnote”, una nota a fondo pagina».
Carlo Rubbia, Nobel per la Fisica, è a Padova per un affollato evento, «Il muon collider workshop», con 80 colleghi da Europa e Usa, e non può non parlare della «belva», il neutrino. Che il professore vuole catturare in una delle sue tante manifestazioni e al quale strappare segreti decisivi.
Basta alzare gli occhi al Sole per stupirsi: ogni secondo, su ogni centimetro quadrato del nostro corpo, si abbatte un’invisibile pioggia di 65 miliardi di neutrini solari. Il bello è che nessuno di noi se ne accorgerà mai e quindi farà fatica a convincersi che, probabilmente, esistiamo - e quindi l’Universo noto - grazie a loro: se la materia ha prevalso sull’antimateria, lo dobbiamo alle stupefacenti proprietà di queste particelle, capaci di oscillare e perciò di cambiare identità.
Ne esistono di tre tipi - elettrone, muone e tau - e ora Rubbia ha portato nei laboratori del Fermilab, negli Usa, il suo rivelatore Icarus con l’obiettivo di scoprire una quarta metamorfosi.
Professore, l’avete chiamato neutrino sterile: perché?
«Perché non si rivela. Lo fa solo attraverso un certo numero di alternative».
Di che tipo?
«Non è un neutrino a pieno diritto, come gli altri. Si nasconde e, quindi, è solo con una serie di reazioni secondarie che si può ottenere un segnale».
Se strapperete questo segnale, che cosa scoprirete?
«Siamo davanti a un punto di domanda: questo neutrino c’è o non c’è? E perciò ora si tratta di portare avanti un programma definitivo, con cui aprire nuove finestre».
Quali nuove finestre?
«Finestre che ci dicano che i neutrini non sono una copia carbone dei quark e dei leptoni, ma realtà del tutto diverse: il nuovo esperimento al Fermilab racchiude proprio questa speranza».
A quel punto si scatenerà una rivoluzione? Sarà l’inizio entusiasmante di una Nuova Fisica?
«Il problema risiede nel Modello Standard, che è la descrizione delle particelle conosciute e nel quale, di recente, si è aggiunto il Bosone di Higgs. La struttura, però, non ci dà conto di molti fenomeni, come la materia oscura e l’energia oscura, e di conseguenza rappresenta una fase intermedia che si apre su tante possibili novità: a mio parere questa apertura è una conseguenza inevitabile».
Come si materializzano questi interrogativi?
«La domanda ora diventa: dov’è l’apertura? E come è fatta? E soprattutto: con gli acceleratori di particelle che abbiamo a disposizione, e che avremo forse in futuro, potremo studiare tutte le novità?».


Lei è più ottimista o pessimista?
«Il punto è che è possibile che le novità vengano fuori a energie del tutto sconnesse con le prestazioni attuali della tecnologia e che quindi rimangano nascoste per un tempo indeterminato».
Oppure?
«Oppure che ci sia un’altra grande scoperta, che permetta al Modello Standard di essere incrementato».
Nel ventaglio di scenari qual è il ruolo dei neutrini?
«I neutrini hanno proprio questa capacità di innovazione: è assolutamente meravigliosa e non si confronta con altre realtà, dai quark ai leptoni e in generale con le particelle normali. Ecco la finestra di cui parlavo, anche se poi è la Natura a decidere».
È vero che ci si sta avvicinando al limite oltre il quale la tecnologia non riesce più a indagare l’infinitamente piccolo?
«La questione è il limite delle tecnologie: non potremo continuare a costruire acceleratori sempre più potenti, a un ritmo indefinito, e laboratori sempre più grandi. Se è vero che si sogna, ci sono i problemi. Di tempi e di soldi. Non dimentichiamoci che abbiamo impiegato oltre 20 anni per realizzare l’acceleratore Lhc a Ginevra».
Allora qual è la soluzione?
«Si tratta di spingere i programmi già esistenti a una durata maggiore di quella della vita media di uno scienziato. Si arriva così alla questione delle scelte e delle sorprese: ci sono sorprese, appunto, ma siamo in grado di vederle? E quando? E come? Questa è la fisica nella sua forma più bella e divertente. Ci aiuta a capire come siamo fatti».
Il test al Fermilab si avvicina ai confini estremi?
«Di sicuro sarà realizzato. In tempi ben definiti, e mi riferisco a un periodo di tre anni, e con una vasta comunità di ricercatori, ma ci stiamo avvicinando al limite».
Troverete davvero il neutrino sterile?
«Non posso garantirlo. A volte mi domando se la natura non sia un po’ più perversa di quanto pensiamo. La nostra posizione non è così egocentrica da ritenere di avere una risposta a ogni domanda».
Come funzionerà il suo esperimento?
«Icarus, basato sulla tecnica di 700 tonnellate di argon liquido, è stato sviluppato in Italia e portato negli Usa: ci darà la misura del segnale, mentre gli altri due esperimenti in parallelo, più piccoli, saranno di calibrazione. La risposta è racchiusa nel rapporto tra due numeri: quello che succede da lontano dev’essere diverso da quello che avviene da vicino».
Avete un’idea del perché i neutrini si trasformano durante i loro viaggi?
«Sappiamo che hanno masse e oscillazioni, ma non abbiamo una spiegazione coerente per le une e per le altre».
Il nome neutrino fu inventato da Fermi, le oscillazioni teorizzate da Pontecorvo e ora lei lo vuole «vedere»...
«È cominciata con Galileo, ma la fisica italiana è giovane e ha bisogno di essere sostenuta e crescere ancora».