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 2018  luglio 04 Mercoledì calendario

Emily Dickinson, Mary Shelley, Colette: il cinema celebra le eroine della parola

Le avventure più affascinanti sono quelle della mente. Anche se si sono svolte nel chiuso di un appartamento, nel silenzio dei pensieri più intimi, nel confronto difficile tra realtà e immaginazione, aspirazioni e traguardi. Sarà per questo che sul grande schermo le storie dei letterati continuano a rivivere, soprattutto se si tratta di personaggi femminili, scrittrici e poetesse, donne per cui la scrittura è stata spesso strumento di ribellione, via di scampo per sottrarsi a convenzioni retrograde, arma infallibile per ritrovarsi, offrendo ad altre donne lo specchio in cui riconoscere i propri problemi. 

Diventare autrici, nel passato più remoto come nel più vicino presente, corrisponde quasi sempre a una battaglia piena di ostacoli, a un cammino tortuoso che offre ampia materia narrativa. Lo dimostrano le vicende, ricostruite in altrettanti film, di eroine della parola come Emily Dickinson, raccontata da Terence Davies in A Quiet Passion (ora nelle sale con Satine Films), come Mary Shelley descritta da Haifaa Al-Mansour nel film omonimo in arrivo alla fine di agosto (dopo l’anteprima all’ultimo Tff), come Colette che rivivrà, con il volto di Keira Knightley, nella pellicola di Wash Westmoreland nei cinema dal 6 dicembre (distribuita da Vision). 
E questo per restare alle proposte imminenti, senza contare la serie tratta dall’Amica geniale di Elena Ferrante (pronta entro l’anno), il documentario di Sabrina Varaini Pagine nascoste, in cui la scrittrice Francesca Melandri «affronta per la prima volta l’eredità del padre, convintamente fascista e razzista durante il Ventennio», i titoli meno recenti come Becoming Jane - Il ritratto di una donna contro, con Anne Hathaway nei panni dell’icona Jane Austen, che nell’Inghilterra più conservatrice a cavallo tra ’700 e ’800 combatte la sua crociata protofemminista.
Il tema dell’integrità 
Nel caso di A Quiet Passion, la prospettiva dell’autore e quella della protagonista (interpretata da Cynthia Nixon) coincidono creando un effetto di rara armonia: «Ho voluto raccontare Emily - spiega Terence Davies - perché quando ero giovane non riuscivo a smettere di leggere e rileggere le sue poesie. Al centro della sua opera c’è il tema dell’onestà e dell’integrità spirituale, una tensione in lei sempre viva, che spero di aver colto e restituito». Le similitudini riguardano anche l’ambiente familiare, vissuto con un misto di attaccamento e sofferenza: «I miei film sono autobiografici, Emily desiderava restare nella sua famiglia e anche io ho passato anni nella stessa convinzione, pensando che i miei fossero meravigliosi, senza nessuna voglia di lasciarli». 
Ma quello stesso contesto, proprio come accadeva alla Dickinson, vittima di un padre autoritario, era anche fonte di indicibile dolore: «In Gran Bretagna, quando ero ragazzo, essere gay era reato. Sono cresciuto in una famiglia operaia, ero il più piccolo di 10 fratelli, pregavo tutti i giorni il Signore di farmi essere come gli altri, mi sanguinavano le ginocchia ma, da tutto quel piangere, non è venuto fuori niente, se non la solitudine e l’abitudine di guardare il mondo dall’esterno». Un’attitudine comune alla poetessa americana: «In lei non c’era rassegnazione, ma accettazione dell’esistenza, era una ribelle sotto mentite spoglie».
Diversa la personalità di Mary Shelley, affidata a Elle Fanning. Nel film, il profilo di Mary Godwin Wollstonecraft, autrice, a soli 17 anni, del romanzo gotico Frankenstein, emerge con i toni fieri e dirompenti di una ragazza capace di sfidare i pregiudizi dell’epoca, di vivere fino in fondo l’amore anticonformista con il poeta Percy Bysshe Shelley e l’amicizia con il «maudit» Lord Byron: «Quando ho recitato nel film - ha dichiarato Fanning - avevo la stessa età di Mary nel momento in cui ha scritto Frankenstein. Era giovanissima, ma aveva già un marito e aveva anche perso un figlio. Una vita incredibile. L’ho studiata a scuola». 


Altra epopea, ancora una volta a base di coraggio e provocazione, è quella di Sidonie-Gabrielle Colette, scrittrice, ma anche attrice teatrale francese, vissuta nella prima metà del Ventesimo secolo, seguendo la spinta di un’indole incandescente e irriverente. Ragazza di campagna, sbarcata nella «Ville Lumiere», in piena Belle Epoque, Colette, che sullo schermo ha i tratti eleganti e spigolosi di Keira Knightley, vive un equilibrio coniugale fatto di passioni, tensioni e tradimenti. Lo racconta nei suoi libri, densi di arguta sensibilità femminile, pubblicati a lungo con la firma aristocratica del marito Henry Gauthier Villars (Dominic West). Ma l’arte contiene il germe della libertà, e Colette riuscirà a intraprendere in prima persona il percorso verso la propria realizzazione, fino al traguardo della candidatura al Nobel .