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 2018  luglio 04 Mercoledì calendario

Un signore in giallo chiamato Scerbanenco

Giorgio Scerbanenko o Giorgio Scerbanenco: dietro la “c” o la “k” si nascondono due dei mondi paralleli di uno dei più inesauribili narratori europei. Un bulimico della scrittura, che sembrava in stato ipnotico mentre riempiva pagine e pagine, per ore, senza aprire bocca, “come un automa”. E ancora oggi, a quasi cinquant’anni dalla morte, è l’autore capace di tornare in libreria con un inedito, L’isola degli idealisti (La nave di Teseo). È come se il suo fantasma fosse ancora con noi lettori o autori di gialli e noir, a raccontare la storia di una famiglia perfetta, che vive su una piccola isola, dove una notte, dopo cena, approda una coppia di ladri. Ed è lo stile dello scrittore a rendere credibile ciò che forse non è, come il tentativo di rieducazione dei banditi in questo piccolo mondo separato, con colpi di scena sino al lieto fine: «Il romanzo è lungo 374mila battute circa. Calcolando una media di 12mila 500 per puntata, la lunghezza approssimativa - scriveva lui all’editore - è di trenta puntate».
Se per i lettori Scerbanenco non è mai andato via, per i suoi figli reali il padre scrittore è oggi più che mai al centro di un affetto tenace, e quasi visionario, che li accomuna, ma non riesce a unirli. Lo si percepisce anche nella prefazione che Cecilia Scerbanenco (con la c) fa al nuovo romanzo: «Sono particolarmente grata a Teresa e Alberto Scerbanenko per aver protetto persino dalla guerra L’isola degli idealisti e per aver permesso che fosse pubblicato”. Scerbanenko, manager internazionale in pensione, fratello - e non è un dettaglio - con la k.
Più che il padre dei giallisti italiani, come a volte si sente dire, Giorgio ne è il fratello maggiore. Quando muore, dopo un lungo ricovero in clinica, è il 27 ottobre del 1969.
Siamo cioè prima della strage di piazza Fontana, e cioè di una delle linee che segnano il confine non solo della politica, ma anche della narrativa. Infatti, nei gialli di Scerbanenco con Duca Lamberti il capo della Mobile è il perfetto padre di famiglia, e ha alle dipendenze agenti devoti e motivati. I moventi degli omicidi che Giorgio decifra e racconta sono la vendetta, il sesso, l’avidità. C’è, dunque, ai suoi occhi uno Stato ancora innocente e senza peccato e una città, Milano, che diventava metropoli. E le sue indagini, a differenza delle trame dei principali gialli pubblicati negli anni seguenti, non sono mai sul potere. Non ci sono investigatori dalla morale dubbia, non ci sono ordini dall’alto che bloccano le piste.
Il grande salto di qualità di Scerbanenco avviene quando incontra Oreste del Buono, magnifico e colto editor, una scorza dura a difendere il cuore generoso.
E’ dal loro incontro che prende forma il ciclo dei romanzi più celebri, come Traditori di tutti, o il violento anticipatore dei tempi I Ragazzi del massacro. E poi i racconti di Milano calibro 9. Le opere finali che daranno a Giorgio la meritata fama internazionale.
Quando è al massimo del successo, Giorgio muore, a 58 anni appena.
Cecilia Scerbanenco con la c nel 1969 ha cinque anni e Alan Scerbanenko con la k ne ha 30. Tra i figli noti, c’è anche Germana, sorella di Cecilia, che fa la veterinaria e nell’agorà dei libri compare molto poco. E’ evidente, a partire dal nudo dato biografico, come Cecilia ricordi soprattutto l’amore della giovane mamma per il papà e la sua assenza. L’altro figlio invece s’è misurato con il padre da uomo a uomo. L’ha visto da vicino con sua madre, Teresa Bandini, corista alla Scala, e poi con altre compagne e conviventi. Cioè, Alan addirittura lo venera come scrittore, per la grande fluidità delle frasi e la scelta delle parole, lo comprende come essere umano, ma resta il fatto che suo padre se n’è andato di casa, con una scrittrice-giornalista, Maria Maglione, quando lui era piccolo e c’era la guerra. Forse è solo da qualche anno che ha fatto davvero pace con l’ingombrante genitore. È successo anche grazie a un armadio che sua madre, chiamata dal padre Liuba, amore, custodiva con le ante sempre chiuse nella casa coniugale di via Plinio 6.
Liuba, che aveva ricevuto anche l’onorificenza dei Giusti di Gerusalemme per aver aiutato una famiglia di ebrei durante il fascismo, muore anni fa. E Alan trova, in ordine, le lettere private, le fotografie, e alcuni dattiloscritti.
Tra i quali, l’ultimo inedito, in uscita in questi giorni.
Lo dà a Cecilia. Non trova solo questo.Cecilia ha appena scritto del padre una biografia di 380 pagine, intitolata Il mercante di Storie, e riproduce interviste, articoli, scritti di e su Giorgio.
Ne ripercorre la carriera, tra alti e bassi, e cita Nunzia Monanni, ultima compagna di Giorgio (non c’era il divorzio), redattrice culturale, sua madre, l’ultima donna dello scrittore.
È questa la biografia con la c di Scerbanenco.
Ma Repubblica è in grado di rivelare che anche Alan sta scrivendo una biografia, per Feltrinelli.
Anche questa supera le 300 pagine. È la biografia con la k, Scerbanenko. Tra i materiali sorprendenti che contiene, c’è una “profezia”: dice che la distruzione dello scrittore, ad opera della “signora della Falce” che «ne vide lo scheletro coperto di stoffa preziosa», sarà «condotta a termine» nel 1969. La data è sbagliata di pochi giorni.
La paginetta era stata scritta trent’anni prima, quando il dolore per la morte della prima figlia, bambina, a casa della sua prima donna, lo trafiggeva. La leggenda noir di Scerbanenco, anche attraverso i figli, non finisce di stupire. Come i suoi inediti ritrovati.