Corriere della Sera, 4 luglio 2018
La confessione di Giorgio Armani: «Ho peccato di stravaganza»
«Voglio raccontare a quei giovani che pensano di sapere tutto – blogger? influencer? stylist? star? – come la donna nel passato si sia sempre vestita in alta moda per essere più bella. E questa sì che è una grande storia», Giorgio Armani docet. C’è sempre un momento nella vita in cui è giusto studiare e/o ripassare. E se in cattedra sale un professore come lui, silenzio prego. Anche con mea culpa compreso e standing ovation emozionante nel finale: «Confesso che anche io sono caduto nella trappola e qualche volta ho fatto cose troppo moderne o troppo strane. Ma ho sbagliato ed ora eccomi qui a presentare la donna che amo vedere nel mondo».
Un’intenzione che si fa ispirazione e sulla passerella che si snoda fra le sale della settecentesca ambasciata italiana a Parigi camminano, ritrovando eleganza e gesti perduti nel tempo, queste donne che sembrano tutte giovani regine fiere dei loro abiti spettacolari e scultorei che ne esaltato femminilità e rango.
Abiti colonna, cappotti magnifici, piccole giacche capolavoro, tuniche di organza ricamata, pepli di chiffon sfumato, gonne di piume, boleri di organza.
È un guardaroba couture dove non manca nulla. Un vocabolario di tessuti, tagli e lavorazioni fatte a mano da manuale dell’atelier. Con quel tocco, mai così deciso e sicuro nel Privé, di armaniana visione, tra fisicità e misteriose androginie, che sono ora una serie di scollature-canottiera su spalle e schiene, ora il guizzo deciso dei pantaloni maschili di seta, ora una piccola toque di paillettes a puntualizzare un’impertinenza, ora un mocassino sportivo a raccontare di una forza moderna, ora un elegante e liberatorio smoking di velluto.
Il tutto ordinato da una sequenza di colori senza compromessi: una tinta champagne che si fa sempre più spumeggiante con cristalli e paillette la sera e si mescola al nero dominante e sicuro quando si tratta di vera eleganza. Tocchi di rosa e giada per incantare in quel che resta del giorno.
Non è faraonica comme d’habitude ma non scherza neppure questa volta Karl Lagerfeld con la scenografia e per Chanel Couture decide di ricostruire sotto il Grand Palais niente meno che les Quais di Parigi con tanto di marciapiede, lampioni, panchine, e venditori di libri e, dall’altra parte della Senna, la riproduzione dell’intera facciata dell’Accademia di Francia.
Un gran furbone il kaiser con les parisiennes ai suoi piedi si può permettere qualsiasi sfumature e lunghezza di tailleur e tweed senza che qualcuno si permetta di obiettare che ne bastavano una decina per cogliere le differenze: gonne midi e maxi, tutte aperte su di un fianco per lasciare intravedere la mini sotto.
Vedo-non vedo è il gioco nuovo grazie a zip inserite ovunque: a chiudere sottane ma anche maniche e quant’altro; sui tweed di famiglia ma anche chiffon e tulle e maglie argentee tricottate. Stivaletti e guanti tagliati: la firma di Karl. Lui poi esce in passerella con i suoi 84 anni e in gran forma. Sarà per via dei fatturati finalmente svelati: oltre 9,7 miliardi di dollari. Come dargli torto?
La «giovinezza»? Non più un’età, ma uno stato mentale. Giambattista Valli parte da questa riflessione e arriva là dove doveva: vestire ogni donna a prescindere dalla sua data di nascita. D’altronde le sue it-girl avevano vent’anni quindici anni fa e sono ora donne, madri, mogli giusto continuare ad accompagnarle anche in questa strada «privata» che è la couture.
Gonne più lunghe? Meno boccioli? Macché: lo stile resta inconfondibile, con le asimmetrie e gli strascichi, i bustier e i fiocchi, i rosa e i fiori, i ricami e le velette ma con un giorno più grintoso (i tailleur pantaloni o i trench luccicanti) e un’attitudine più decisa (meno drammaticità nel porsi).