Corriere della Sera, 4 luglio 2018
Lo psichiatra sui ragazzini nella grotta in Thailandia: «Li ha salvati il gruppo, uno da solo non avrebbe resistito»
«Può sembrare un paradosso, ma alla fine potrebbe persino rivelarsi un’esperienza positiva dal punto di vista formativo». Gustavo Pietropolli Charmet, psichiatra e psicoterapeuta con un passato da direttore di ospedali e da docente universitario, ribalta la prospettiva sull’avventura – diventata tragedia – della squadra di calcio dei ragazzini thailandesi, trovati vivi dopo 9 giorni ma ancora intrappolati, e non si sa per quanto, dentro una grotta.
Come immagina che stiano dal punto di vista psicologico?
«Non male quanto crediamo. Per diversi motivi. Intanto sono rimasti insieme, tra ragazzi che si conoscevano. Il legame di gruppo, la forza della speranza, li ha tenuti in vita: nessuno di loro ce l’avrebbe fatta se fosse rimasto da solo. E probabilmente hanno mantenuto fiducia nel loro “capo”, che almeno per una questione di età penso sia il ragazzo che, sbagliando, li ha portati lì. In queste situazioni i legami affettivi sono fondamentali anche per superare la paura».
Non c’è il rischio, come temono in Thailandia, che una volta usciti i ragazzi soffrano di un disturbo post-traumatico?
«È molto probabile ma durerà poche settimane, sono giovanissimi, è una situazione del tutto recuperabile. Come i naufraghi, o chi sopravvive a un incidente aereo, per qualche tempo avranno incubi, ma si tratterà di una nevrosi positiva: serve a elaborare il trauma. Meglio se insieme. Alla lunga potrebbe diventare una sorta di trofeo di gioventù. Ora diventeranno famosi, saranno raccontati come eroi: gli farà bene».
La Thailandia è ancora paralizzata davanti alla tv: un’ansia collettiva.
«Successe così anche in Italia con la tragedia di Vermicino dell’81, ma la storia di questi ragazzi è diversa da quella di Alfredino per tanti aspetti: la sua solitudine senza speranza e l’approssimazione delle ricerche furono drammatiche, ben più di quelle di ora».
E i genitori?
«Vivono un perenne incubo del padre fuori dalla sala parto: gli dicono che il bimbo è in pericolo, ma lui non può entrare ed è impotente. Nella grotta però c’è un’altra figura di “padre competente”, i soccorritori. Basteranno loro, anche dovessero metterci mesi».