Corriere della Sera, 4 luglio 2018
Scomparso il 9% di chi parte. Il dato record dell’ultimo mese
Per chi si imbarca in cerca di un futuro in Europa, non era mai stato tanto probabile morire in mare durante la traversata dalla Libia. Né erano mai state tanto più frequenti le partenze in giugno, da quando esistono dati credibili, rispetto a quelle di maggio. E del resto non era neppure mai stato così alto il numero di migranti che approdano in Spagna, in proporzione a quelli che arrivano in Italia. Nella prima metà dell’anno i flussi sono diventati quasi equivalenti: secondo l’Organizzazione internazionale delle migrazioni, 15.426 sbarchi in Spagna contro 16.585 in Italia. Gli oneri sopportati dai due Paesi sono ormai simili.
Qualcosa di nuovo sta succedendo sulle rotte migratorie, da quando il primo giugno ha giurato al Quirinale il governo di Giuseppe Conte. Solo i prossimi mesi diranno se sia solo una coincidenza tra eventi senza relazione tra loro, o se la svolta sulla rotta del Mediterraneo centrale sia anche effetto del nuovo governo italiano. Di certo non tutte le novità sono rassicuranti, a partire da quelle sui naufragi.
Nell’ultimo mese – soprattutto dalla seconda metà, inclusi i primi due giorni di luglio – si registra il terzo più alto numero di morti e scomparsi in mare da quando due anni e mezzo fa le agenzie internazionali hanno iniziato a tenere i conti. Sono annegati o risultano scomparsi nel Mediterraneo il 9% di coloro che hanno provato la traversata dalla Libia, la quota più alta di sempre. In tutto si tratta di 679 morti. Se n’erano avuti di più solo nel maggio e nel novembre 2016, ma allora le partenze dalle coste libiche erano il doppio o il triplo rispetto a quelle di quest’ultimo giugno.
I dati sono calcolati da Matteo Villa dell’Ispi di Milano sulla base delle cifre fornite dall’Organizzazione internazionale delle migrazioni (Oim) e dall’Alto commissariato per i rifugiati dell’Onu (Unhcr). Mostrano che ogni singola traversata non era mai stata tanto pericolosa, neanche in pieno inverno. Di solito per i migranti le probabilità di morire in mare erano state attorno al 2%, ma nelle ultime settimane qualcosa è cambiato: sono quasi sparite dalle acque davanti alla Libia le navi per la ricerca e soccorso delle Organizzazioni non governative. La Aquarius di Sos Méditerranée e di Medici senza frontiere è ferma a Marsiglia dopo il lungo viaggio verso Valencia; la Seefuchs e la Seawatch 3, di due Ong tedesche, sono entrambe bloccate a Malta, mentre la Lifeline si trova lì sotto sequestro. «Da quando le Ong sono state messe nell’impossibilità di lavorare, la minore presenza di navi che pattugliano quelle acque sta rendendo i naufragi più frequenti», osserva Flavio Di Giacomo dell’Oim.
In teoria la vigilanza dovrebbe essere assicurata da Themis, la missione europea di Frontex nel Mediterraneo, oltre che dalla Guardia costiera libica equipaggiata grazie alle forniture dell’Italia. E in effetti i guardiacoste di Tripoli lavorano a pieno regime: il mese scorso hanno intercettato in mare e riportato verso centri di detenzione in Libia – che raccolgono insieme uomini, donne e bambini – il 51% dei migranti in piena traversata.
Ma, appunto, su questo aspetto emerge la seconda novità. Se non gli arrivi in Italia, in forte calo da agosto scorso, senz’altro solo ora le partenze dalla Libia stanno di nuovo aumentando. Erano state 4.500 a maggio e sono oltre 7 mila a giugno, mentre negli anni precedenti i due mesi avevano registrato flussi molto simili tra loro. Forse è un segno che sta scricchiolando l’accordo che l’Italia aveva stretto con le tribù libiche di Sabrata. Di certo sta crescendo anche la rotta dal Marocco: nei primi sei mesi del 2018, l’aumento degli sbarchi in Spagna è del 137%. Checché ne dica il ministro dell’Interno Matteo Salvini, oggi una pressione non minore di quella sull’Italia.