La Stampa, 3 luglio 2018
L’acqua sporca poteva uccidere i ragazzi nella grotta e invece li ha aiutati a salvarsi
La speranza, i soccorritori del mondo speleologico davvero non l’abbandonano mai. Perché sanno che l’organismo umano ha incredibili doti di resistenza. Ma anche loro, gli esperti del Cnsas (Corpo nazionale soccorso alpino e speleologico), al nono giorno di ricerche nella grotta della Thailandia, avevano cominciato a temere il peggio. «Ovviamente non ne sappiamo niente», premette il dottor Livio Russo, medico esperto di soccorsi in grotta, vicedirettore della scuola che forma i soccorritori. «Ma se devo ragionarne in astratto, penso che quei ragazzi debbano ringraziare una serie di fortunate concomitanze: intanto le temperature di una grotta equatoriale sono molto diverse da quelle nostre; in Messico si va in grotta in maglietta, da noi con le tute adatte. E poi, la stessa acqua che li ha bloccati, ha permesso anche che avessero di che dissetarsi. Sicuramente sarà stata acqua sporca, con problemi da ingestione, con patologie da non sottovalutare, ma li ha tenuti in vita».
Un’altra realtà
A chi resta bloccato in grotta, l’attende un’altra realtà. Diversa da quella normale. I problemi sono tanti e imprevisti. Racconta Roberto Carminucci, esperto in soccorsi speleosub, vicedirettore nazionale del Cnsas: «Il primo rischio è il freddo. In una nostra grotta la temperatura è stabile sul freddo, a seconda delle aree, da zero a dodici-tredici gradi. L’ipotermia è in agguato. Bisogna scaldarsi in qualche modo. E le cose possono andare peggio se si è bagnati, se i vestiti sono fradici». Ma se questo è un discorso valido in generale, probabilmente per i giovani calciatori thailandesi è stato il problema minore. «Il secondo problema è l’acqua. Evidentemente quei ragazzi si sono arrangiati. Il terzo problema è la luce. Dopo un po’, le luci che ci si porta dietro si spengono e si piomba nel buio. A quel punto tutto diventa più rischioso, anche solo fare qualche passo per muoversi nella grotta, e l’attesa è più pesante dal punto di vista psicologico. Probabilmente hanno acceso la luce a turno. E infine l’aspetto forse più importante. Serve un forte autocontrollo per chi resta bloccato in attesa di soccorso. Il tempo là sotto non passa mai, ma guai a cedere al panico».
Sopravvivere per 10 giorni
«Come abbiamo visto in tanti terremoti – riprende il racconto del dottor Russo – a certe condizioni favorevoli si può sopravvivere per tanti giorni. Fino a 10 giorni e anche più. Ho assistito a un caso limite, il recupero di un terremotato ad Haiti che è stato tirato fuori dalle macerie dopo 11 giorni. In quel caso, a fare la differenza è stata una cannella d’acqua che gli ha permesso di dissetarsi nonostante tutto». Naturalmente i soccorritori sanno che cambia tutto se si tratta di soccorrere una persona anziana o un giovane in piena forma. Quando quelli del Soccorso alpino vanno per boschi alla ricerca di un raccoglitore di funghi disperso, ad esempio, sanno per esperienza che è una corsa contro il tempo. «Siccome si tratta di persone anziane, con acciacchi, è sufficiente una notte all’addiaccio, spesso con un arto fratturato, per causare un crollo fatale dei parametri vitali». Tutto il mondo attende ora con il fiato sospeso che l’operazione di salvataggio sia portata a termine. Finché i dispersi non saranno fuori, tra le braccia dei famigliari, non si potrà dare nulla per scontato. Se occorrerà passare per una zona allagata, dovranno immergersi. E non sarà una passeggiata. Specie se qualcuno di loro si fosse ferito.