la Repubblica, 3 luglio 2018
L’erba come la terra, ogni punto dura 5 secondi in più
Ma quale fast tennis. Buttate via tutti i luoghi comuni su tecnologia, palle e altro. Il tennis sta rallentando. Anche qui, a Wimbledon, sull’erba. Non ci credete? Dite che le battute a 230 kmh di Karlovic e i suoi fratelli, che i colpi vincenti di Federe e Nadal, non hanno paura di smentite?
Beh, i matematici sostengono l’opposto. Hanno visionato un bel po’ di match degli ultimi anni. Hanno confrontato i dati. E sono giunti a una conclusione: non abbiamo capito niente. Quel che ci sembra di vedere, sugli spalti e in tv, è un’impressione sbagliata. Jeff Sackmann, analista, spiega: «Negli ultimi 15 anni la lunghezza degli scambi negli Slam sul cemento e sull’erba è costantemente aumentata, quasi fino a raggiungere quella del Roland Garros, tradizionalmente il torneo con la superficie più lenta. Il fenomeno è più accentuato sull’erba di Wimbledon, che per molti anni ha visto scambi con una lunghezza media di soli due colpi».
Per dire: nella famosa finale del 1980 Borg e McEnroe scambiavano a un ritmo di 120 battiti per minuto, e tra un colpo e l’altro c’era un secondo e mezzo, all’inizio degli Anni 90 le finali al Roland Garros avevano una lunghezza media degli scambi di quasi sei colpi e quelle di Wimbledon raggiungevano, come detto, a malapena due colpi per punto.
Avendo studiato oltre 70mila match, Sackmann afferma che le cose sono cambiate dalla seconda parte degli Anni ’90, con il graduale passaggio a scambi più lunghi dalla linea di fondo. La progressione è stata inevitabile sino agli ultimi anni, quando un punto in media necessita di 4.6 secondi in più rispetto al 1991. Il motivo prova a spiegarlo Nicola Pietrangeli: «Il passante non è più piatto come ai nostri tempi, ma molto arrotato e lavorato: diventa difficile fare la volée e così si resta a fondo campo».
Il dibattito su velocità del gioco, ritmo, lunghezza degli scambi è diventato intenso, dopo la notizia che agli US Open verrà introdotto il contatore prima del servizio, per misurare un’altra variabile che ha allungato i tempi. Pensate al tempo che si prende Nadal prima di battere. «Sono nel circuito da 15 anni e non credo che in passato fossi più veloce rispetto a ora, ma non si parlava di questo» ha detto sbuffando Rafa, mentre Murray – un altro che sfora i 25 secondi – si è sempre giustificato dicendo «di non farlo apposta».
Le precedenti ricerche descrivevano l’erba come la superficie di gran lunga più veloce. Gli ultimi dati inducono ad ipotizzare che l’erba si stia avvicinando nei parametri principali del gioco ( durata del punto, velocità della palla e tempo effettivo) al cemento e alla terra battuta, che resta comunque la più lenta. Una verità dura da accettare per i puristi. Sergio Palmieri, oggi direttore tecnico degli Internazionali di Roma, sposta il tiro: «Ma la velocità della palla va misurata nell’aria, e lì non ci sono studi che tengano nell’affermare che la palla viaggia più veloce rispetto al passato, e dunque il gioco del tennis non sta rallentando proprio per niente». Il suo punto di vista è condiviso da molti coach, che introducono un’altra riflessione al dibattito: «Se gli scambi sono aumentati è per la bravura atletica degli atleti, la loro maggiore adattabilità alle superfici, la loro capacità di muovere fisicamente meglio rispetto al passato. Questa è la vera chiave interpretativa». L’uomo che resta centrale: meno male.