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 2018  luglio 03 Martedì calendario

Il Premio Strega? Un affare riuscito

Il Premio Strega non consacra nessuno per l’eternità. Gian Arturo Ferrari, direttore storico della Mondadori, dice che «due terzi dei vincitori dello Strega non sono più pubblicati». Un po’ esagerato, ma ha ragione. I primi vent’anni, dal 1947, sono di valore assoluto: quasi tutti autori ristampati fino a oggi. Aggiunge Ferrari, sempre nel dibattito uscito sull’ultimo numero dell’«Espresso», che così come molti grandi non hanno vinto il Nobel, i maggiori autori italiani del dopoguerra non sono stati «stregati». È vero: basta pensare a Gadda, Bilenchi, Fenoglio, Vittorini, Carlo Levi, Meneghello, Pasolini, Ottieri, Testori, Calvino, Manganelli, Malerba, Sciascia, Arbasino. Dunque, più che «uno spaccato dell’Italia migliore», lo Strega è uno spaccato dell’Italia, e basta. Per questo non c’è da meravigliarsi che Celati, Stajano, Cordelli, Cavazzoni, Piersanti e Mari non siano mai stati candidati, eppure anche per loro lo Strega sarebbe un’opportunità per vendere di più, essere tradotti eccetera. Ma gli editori preferiscono puntare su nomi che ritengono più commerciabili. Più di altri premi, lo Strega non è un gioco, è un affare economico. Un affare riuscito: merito del marchio, del battage, dell’aura mondana, delle polemiche e della diretta tv. Ed è lecito contestare il fatto che un affare economico sia sottoposto alle pressioni dei grandi editori. «I libri dei piccoli piacciono meno», dice Ferrari. Ma a quanti autori è bastato cambiare scuderia per vincere lo Strega? Perché con i libri precedenti gli stessi autori non piacevano? Ogni tanto qualcuno auspica un nuovo premio che si opponga allo Strega. Non facile costruire una tradizione da zero: bisogna pretendere che migliori l’esistente. In Francia il Goncourt ha la sua giuria accademica indipendente dagli editori, così come il Büchner in Germania o il Booker Prize nel Regno Unito. Lo Strega invece apre sempre più: anche l’Italia letteraria, non solo quella politica, è più populista degli altri Paesi. La qualità è garantita dalla quantità e non viceversa. Altrimenti basterebbero cinque giudici specialisti, ma in Italia gli specialisti puzzano subito di casta, a meno che non cavalchino l’onda, come accade sempre più. Risultato innegabile: 8 volte negli ultimi 11 anni ha vinto la Mondadori nelle sue varie forme. Quest’anno vedremo. E semmai pazienza, si salta all’anno prossimo.