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 2018  luglio 03 Martedì calendario

«La cravatta di Tsipras? Si stringe e si allenta...». Lo scrittore Markaris e l’addio della Troika

Mi dica la verità, Petros Markaris. Lei pensa davvero che la crisi greca sia ormai alle spalle? Che si possa guardare al prossimo futuro con ottimismo? Che dopo il 21 agosto, alla fine del programma della troika, comincerà una nuova alba?
«Il più grande scrittore greco moderno, arrivato in Italia dove sarà una star della Milanesiana, ammicca con un sorriso a metà tra l’ironico e l’amaro: «È la fine del memorandum, non certo la fine della crisi. Illudersi sarebbe fatale».
Però il vostro primo ministro Alexis Tsipras ha deciso di rimettersi la cravatta. Disse che lo avrebbe fatto soltanto alla fine della crisi.
«Che simbolismo fantastico quello della cravatta! Un lungo pezzo di stoffa attorno al collo, che si può indifferentemente allargare o stringere».
Non sia pessimista.
«Le rispondo da ottimista. Vede, ho ripetuto molte volte che Atene non ha il mal di cuore, non ha subito infarti, ischemie o altri guai cardiovascolari. Il problema dei greci è l’Alzheimer».
Dimenticano cioè dove si trovano, come avviene negli stadi più gravi della malattia?
«No, dimenticano il passato. I nostri padri sapevano molto bene che la Grecia è un Paese povero, e avevano imparato a vivere dignitosamente in povertà. Eppure nel secolo scorso abbiamo avuto due conflitti devastanti, la Shoah, la guerra civile, la miseria con la gente che moriva di fame per la strada, il colpo di Stato dei colonnelli, e il conforto, il limite e le illusioni delle ideologie. Poi sono arrivati gli anni 80, e i soldi facili dell’Unione europea. La gente, dimenticando di vivere ancora (per tanti aspetti) come in una provincia dell’Impero ottomano, si è abituata a spendere, a comprare tutto, pensando che la crescita e l’illusione sarebbero state eterne. Poi è arrivato il vuoto. Tanti sono convinti che dopo la tempesta torneranno i bei tempi passati. Tragico errore».
Qual è il problema di fondo, allora?
«Che dopo la caduta dei muri, il crollo del cosiddetto socialismo realizzato, abbiamo soltanto il capitalismo più aggressivo. Gli Usa hanno eletto Donald Trump, quindi non hanno scelto un politico ma l’uomo d’affari. Tutto ciò che fa Trump è in funzione degli affari. Business, business e ancora business».
Mi pare che in Europa non si stia molto meglio...
«Esatto. Abbiamo assistito al collasso di tutti i partiti della sinistra, e l’estrema destra avanza baldanzosamente dappertutto, con linguaggio e proposte pericolose. La nostra Unione europea, nella quale credo fermamente, deve però diventare un’Unione solidale. Per i profughi, gli immigrati e ovviamente per l’economia. Di Europe invece ce ne sono tre, quattro, o anche di più. Nessuno rinuncia a parte della propria sovranità. Si vorrebbe l’Unione accentuando il potere degli Stati nazionali. Follia».
Lei è favorevole a che la Grecia resti nell’euro, come ha deciso il governo di Atene, accettando misure draconiane per rispettare gli accordi?
«Si, assolutamente. Il problema è semmai tornare a dare spazio alla politica, limitando lo strapotere della finanza. Prenda Putin: agisce come politico, utilizzando anche l’economia. Oggi in Europa si è sgretolato questo equilibrio».
So bene che lei, caro Markaris, è di cultura tedesca, che ha tradotto Goethe e Brecht, che è considerato un mediatore fra Atene e Berlino. Non mi dica però che la Germania non ha colpe... Nel picco della crisi, i tedeschi, in cambio degli aiuti necessari, imposero ad Atene l’acquisto di due inutili sottomarini, uno dei quali non funzionava.
«Ricordo benissimo. Ma questo non giustifica le spese pazze della Grecia, i costi delle Olimpiadi del 2004, la corsa al lusso più sfrenato. Lei, che vive nel mio Paese, sa bene che lunedì e martedì la gente parla di Cipro e della “megalli idea”, mercoledì e giovedì discute animatamente sul tema di Skopje, e nei restanti giorni della settimana, dell’Egeo e degli sconfinamenti turchi. Come se al mondo non ci fossero problemi più urgenti...».