La Stampa, 2 luglio 2018
Musica, l’età della curiosità finisce a trent’anni. Poi vince la nostalgia
30,5: ecco il nuovo limite, la linea d’ombra definitiva, o almeno la più recente di cui disponiamo. La traccia una ricerca appena condotta in Gran Bretagna: a trent’anni e mezzo si smette di cercare nuova musica da ascoltare e amare, il serbatoio di canzoni sembra essere pieno, per il resto della vita si attingerà da lì.
La ricerca è di Deezer, piattaforma di musica in streaming nata in Francia, i soggetti studiati, circa mille, sono appunto tutti britannici. Altri numeri prodotti dal medesimo sondaggio: 24, l’età in cui si va più spesso a caccia di nuovi suoni, con più di dieci canzoni nuove ascoltate ogni settimana; 47 (per cento), quelli che, avendo superato l’età limite, giurano di essere ancora appassionati di musica come prima, ma – dichiarano – proprio non ce la fanno a esplorare nuovi territori; 19 (sempre per cento), quelli che si sentono sopraffatti dalla quantità di offerta presente sul mercato e dicono di rifugiarsi nel già noto per una sorta di auto-difesa (ma il 16% dice semplicemente che lavora troppo e l’11% usa la vecchia scusa dei figli).
Qualcuno dice: 33
I numeri sono solo leggermente diversi da quelli di un’analoga ricerca compiuta tre anni fa su utenti americani di Spotify, la piattaforma di streaming al momento più usata nel mondo (a fine 2017 quelli paganti erano circa 70 milioni, Deezer probabilmente ne ha un decimo): la linea d’ombra allora era stata fissata a 33 anni. A quell’età – si sosteneva allora – le donne cominciano ad ascoltare gradualmente sempre meno musica nuova; per gli uomini, invece, si tratta di un crollo quasi verticale. Altro dato rilevante: avere un figlio equivale a invecchiare di quattro anni nei gusti musicali.
Si è sempre sospettato che funzionasse più o meno così, il bello è che ora i numeri, anzi, i grandi numeri, i Big Data, confermano tutto. Se solo le piattaforme di streaming fossero più generose con queste preziose informazioni, ne scopriremmo delle belle. Perché, come ci ha detto Jovanotti qualche mese fa, è vero che «l’algoritmo di Spotify ci conosce meglio di quanto siamo disposti ad ammettere» e sa che cosa realmente ascoltiamo, non quello che ci piace dichiarare per sembrare più intelligenti, alla moda, aggiornati, magari colti. A proposito, la ricerca di Deezer potrebbe anche essere utile a dissipare qualche inutile senso di colpa. Se dopo aver superato i trent’anni ti pare che la musica pop abbia perso interesse, che non ti riguardi più, che non ti emozioni e coinvolga come prima, è inutile fingere, costringersi a impazzire per – mettiamo – Ghali. Il problema non è lui, sei tu. E se ti pare che ultimamente, più o meno da quando hai passato la soglia dei trenta, gli esseri umani abbiano gradualmente perso la capacità di fare buona musica, be’, sono gli anni (tuoi) che passano.
I Big Data e l’adolescenza
Sul tema, esistono diverse ricerche accreditate, condotte da varie università americane. L’economista Seth Stephens-Davidowitz, autore di un saggio molto acuto sui Big Data e le menzogne che, come individui e come società, amiamo raccontarci (Everybody Lies: Big Data, New Data, and What the Internet Can Tell Us About Who We Really Are), ha raccontato una sua indagine sul New York Times.
Sintetizziamo: le canzoni della nostra vita, quelle che ascolteremo sempre con piacere e che saranno le pietre di paragone con cui misureremo tutte le altre, sono quelle che abbiamo amato da adolescenti. Analizzando dati fornitigli da Spotify, Stephens-Davidowitz conclude: «Per i maschi l’età critica, quella che segna per sempre, sono i 14 anni; il gusto si forma tra i 13 e 16 anni. Per le femmine, l’età decisiva sono i 13 anni, l’intervallo importante va dagli 11 ai 14». Tutto ciò ha a che fare con la biochimica dell’adolescenza, in cui tutto il corpo, cervello compreso, cambia e si modella. Il fatto è che il pop sembra essere il meccanismo perfetto per scatenare la produzione di dopamina (e dunque di euforia) collegata a un ricordo piacevole, secondo il principio dell’anticipazione positiva: quando ascoltiamo le prime note di certe canzoni, sappiamo già che cosa sta per accadere e il nostro cervello torna istantaneamente adolescente, nel pieno di quelle tempeste ormonali che ci hanno fatti come siamo ora (ma nel ricordo, un po’ meglio). Un piacere impagabile. Insomma, le ricerche sembrano disegnare una storia che molti di noi, forse tutti, potrebbero confermare con la propria esperienza di vita: da adolescenti ci si costruisce un gusto, un sistema di valori estetici e di punti di riferimento che da giovani si esercita, esplorando. Poi, intorno ai trent’anni, ci si fa felicemente bastare quanto già si ama e si conosce. Al prossimo che ci dirà che la musica pop dei suoi vent’anni era certamente migliore di quella di adesso, o di qualsiasi altro momento della storia, ora sappiamo cosa rispondere. Forse hai ragione tu, caro ex adolescente che ti sei formato con la disco musica di Donna Summer, o con i Righeira post-apocalittici di Vamos a la Playa, con l’Albachiara di Vasco e certe notti del Liga, ma questa tua convinzione dice molto più di te e della tua generazione di quanto dica sulla qualità delle canzoni, di oggi e di allora.