La Stampa, 2 luglio 2018
È la geotecnologia il terreno di sfida fra nuove e vecchie potenze
Benvenuti nell’era della geotecnologia. Se il diciannovesimo e il ventesimo sono stati i secoli della geopolitica, ovvero quelli dell’impatto dei fattori geografici sull’azione politica degli Stati, secondo un nuovo studio dell’Atlantic Council di Washington siamo entrati nell’epoca in cui sono i fattori tecnologici – l’Intelligenza artificiale, la biotecnologia, la robotica, le telecomunicazioni 5G, le energie rinnovabili – «a determinare il futuro della civiltà umana e l’ordine globale».
Chi guida il processo di innovazione tecnologica, insomma, guida il mondo. Gli Stati Uniti sono la nazione leader, con la Cina però che si fa sotto, e cominciano ad avere un notevole ruolo strategico anche Paesi poco influenti secondo il vecchio schema geopolitico, da Israele alla Corea del Sud e anche Svezia, India e Giappone.
Secondo il rapporto, intitolato «The Global Innovation Sweepstakes: A Quest to Win the Future», il mondo è all’apice di una rivoluzione tecnologica senza precedenti che avrà ampie conseguenze sociali, economiche e geostrategiche. Questa rivoluzione tecnologica, si legge nello studio, cambierà il mondo in cui viviamo, lavoriamo, costruiamo, combattiamo e comunichiamo: «Stiamo assistendo a una convergenza di tecnologie, alla fusione dell’economia reale con quella digitale, a una sinergia tra intelligenza artificiale, big data, robotica, biotecnologia, manifattura avanzata, Internet delle cose, nano-ingegneria e nano-manifattura e, all’orizzonte, computer quantistici». Il problema, secondo l’Atlantic Council, è che gli Stati Uniti non concorrono a pieno regime a questa nuova sfida, forti dell’incontrastata supremazia tecnologica degli ultimi sessant’anni. Il nazionalismo faccio-tutto-io di Donald Trump rende più complicato ragionare in termini strategici, di conseguenza Washington impegna mezzi e risorse ingenti ma inadeguati a mantenere nel medio-lungo periodo la leadership geotecnologica. La Cina, invece, mobilita tutte le risorse umane, scientifiche e finanziarie possibili di un Paese che si è posto l’obiettivo di dominare tecnologicamente il mondo entro gli Anni 30 di questo secolo.
In assenza di una competizione americana all’altezza delle ambizioni dello sfidante, Pechino potrebbe arrivare a dettare gli standard globali della comunicazione 5G, quelli etici sulla manipolazione genetica e quelli normativi sull’Intelligenza artificiale. Non è un cambiamento di poco conto, perché una cosa è se il futuro sarà regolato da una grande democrazia fondata su una società aperta come quella americana, un’altra è se le carte saranno in mano a un regime autoritario e chiuso come quello di Xi Jinping. Il rischio concreto, secondo lo studio dell’Atlantic Council, è addirittura una guerra. I primi segnali del conflitto ci sono già, con le scaramucce commerciali di questi mesi.
Sottovalutare il dinamismo e la capacità di redenzione dell’America è sempre un errore, ma Washington non sembra ancora scossa da un «momento Sputnik» come quello che negli Anni 50 del secolo scorso convinse gli Stati Uniti a impiegare tutte le risorse disponibili per superare il vantaggio spaziale dell’Unione Sovietica e determinare il futuro. Ecco, quel momento, chiamiamolo «il momento Xi», è arrivato.