La Stampa, 2 luglio 2018
Quell’esercito di bambini del Malawi costretti a raccogliere foglie di tabacco
Avviso ai fumatori: molte delle sigarette che accendete contengono tabacco coltivato da minori. Un fenomeno sempre più frequente che non conosce confini, come denunciato da un’inchiesta del quotidiano londinese The Guardian. Dal Sud America all’Asia, passando per l’Africa, sarebbero 1,5 milioni i bambini (dati Ilo – Organizzazione internazionale del lavoro) costretti a lavorare in condizioni disumane per alimentare un’industria che vale ancora 600 miliardi di euro, grazie all’aumento della domanda asiatica e nonostante i 7 milioni di morti all’anno per cause correlate al fumo. Una tendenza in crescita soprattutto nei Paesi più poveri come India, Zimbabwe e Malawi. È proprio in questo dimenticato piccolo Stato dell’Africa Australe che nasce una delle varietà più pregiate di tabacco, prima voce nel capitolo esportazioni del Paese, e dove il 60% dei bambini (stime Ong locale Centre for Social Concern), costretti dall’estrema povertà delle famiglie, abbandonano la scuola per passare intere giornate a raccogliere le foglie sotto il sole cocente. Tra questi, Tiyamike Phiri, una giovane di 14 anni, il cui sogno era diventare infermiera per aiutare chi soffre, ma non avendo i soldi per comprare il materiale scolastico, da un anno è costretta a passare le giornate nei campi armata di una zappa rudimentale per cercare di far crescere il tabacco. Non è la sola nella contea di Kasungu, Centro-Nord del Malawi, dove intere famiglie vivono 10 mesi all’anno in baracche di paglia nelle coltivazioni di facoltosi proprietari terrieri per completare il raccolto. Un destino condiviso insieme a suo fratello Madalitso, entrambi costretti ad abbandonare i propri sogni dopo la morte del padre.
Tiyamike è l’ultimo tassello di una filiera così strutturata. Gli ordini partono dai «Big» del tabacco, giganti del calibro di British American Tobacco, Philip Morris e Japan Tobacco che contrattano delle società che hanno il compito di acquistare le foglie. In Malawi la più importante è la Universal, che si è sempre dichiarata contraria al lavoro minorile, almeno in teoria. Spetta a loro individuare le coltivazioni migliori e fornire sementi, pesticidi e strumenti agricoli ai proprietari terrieri. Quest’ultimi, per avere un profitto maggiore, tendono ad impiegare minori come Tiyamike pagati all’incirca 325 euro per 10 mesi di lavoro. Questo significa che per ogni chilo di tabacco raccolto, sufficiente per produrre circa 1200 sigarette, la paga è di pochi centesimi di euro. Cifre ben distanti da quelle in busta paga della maggior parte dei vertici delle multinazionali del tabacco che possono arrivare fino a 10 milioni di euro. A questo va aggiunto che Tiyamike e suo fratello la magra somma la avranno solo al termine dei 10 mesi quando il raccolto sarà venduto nella capitale Lilongwe dove avvengono le aste. In questo periodo di tempo si alimenteranno solo con mais fornito dal proprietario della coltivazione: un appezzamento di terra quasi sempre affittato o comprato dallo Stato. Molti dei minori vengono sfruttati dalle stesse famiglie biologiche costrette a farli lavorare nei campi per ripagare debiti pregressi contratti con il proprietario terriero creando così una continuità generazionale difficile da interrompere.
Salute compromessa
«La salute di questi bambini è messa a serio rischio dall’esposizione ai pesticidi presenti sulle foglie di tabacco e all’intossicazione di nicotina soprattutto nel periodo delle piogge quando le piantagioni sono bagnate» afferma Vera Da Costa Silva, direttrice del Dipartimento sul tabagismo all’Organizzazione mondiale della Sanità. Un’accusa rigettata dai «Big» del tabacco secondo cui nessun minore lavora nei campi. Tuttavia è stato confermato, ad esempio, dalla Japan Tobacco che, in Malawi, ci sono adolescenti e bambini che operano nel settore, ma solo al momento dell’essiccazione delle foglie, pratica che non è considerata rischiosa per la salute e che non viene etichettata come lavoro minorile da parte delle multinazionali delle sigarette. Per mostrare il loro intento nel combattere questo fenomeno le principali aziende produttrici di tabacco negli ultimi anni hanno realizzato programmi sul territorio di inclusione sociale, come la costruzione di pozzi e scuole, e, dal 2000, fanno parte della Fondazione Eclt (Eliminating Child Labour in Tobacco) che ha reso noto come negli ultimi 7 anni 182 mila bambini sono stati salvati dal lavoro nelle coltivazioni. Una percentuale ancora troppo bassa rispetto all’esercito di minori che ogni giorno continua ad alimentare l’industria del fumo.