la Repubblica, 2 luglio 2018
Profughi, dall’accoglienza alla crisi: la lunga parabola di Angela
Il 2 settembre del 2015 la foto straziante di Alan Kurdi, il piccolo profugo siriano morto nel tentativo di attraversare il Mediterraneo, fa il giro del mondo. Due giorni dopo, quando la pressione dei migranti che arrivano dai Balcani è già enorme, il cancelliere austriaco socialdemocratico Werner Faymann propone ad Angela Merkel – che aveva già dichiarato che la Germania era pronta ad accogliere i profughi – di aprire ufficialmente le frontiere. Lei fa cercare ripetutamente Horst Seehofer al telefono. Invano.L’allora governatore della Baviera è in vacanza e non risponde. Lei prende la decisione con il suo governo, ma senza il capo della Csu. Lui, dopo, si infuria. Ma è solo il primo di una serie di scontri tra “Angela” e “Horst” che hanno polarizzato da allora la politica tedesca. In quelle settimane cruciali si consuma un altro strappo: quello tra Merkel e una parte della Germania, che accuserà la cancelliera di aver perso il controllo della situazione.E Seehofer non farà che cavalcare quello strappo.In quell’estate del 2015, quando milioni di profughi, deviando dalle rotte fino ad allora consuete – principalmente il Mediterraneo cominciano a risalire i Balcani per raggiungere il Nord Europa, Merkel compie una scelta senza precedenti per la sua indole cauta e iper tattica: dichiara «ce la facciamo», inaugura la «politica delle porte aperte», apre le braccia alle miriadi di disperati che arrivano quasi tutti via Monaco di Baviera. La capitale della regione più ricca e conservatrice del Paese.Molti politologi pensano che la cancelliera abbia voluto, con quella svolta che le valse alla fine dell’anno la copertina del “Time” e per sempre la simpatia di Papa Francesco, cominciare a impostare la sua eredità politica, abbandonando la tipica prassi “dei piccoli passi”, mostrarsi visionaria. Qualcun altro sostiene che il piano per fermare i profughi fosse stato preparato, eccome, e sin nei minimi dettagli, alla Cancelleria. Ma che né Merkel, né i suoi avrebbero avuto il coraggio di metterlo in atto. Che la cancelliera avrebbe insomma subìto quell’emergenza, più che domarla.Quando arriva l’autunno, il clima è già un altro. L’estrema destra tedesca Afd e la destra populista austriaca Fpoe schizzano nei sondaggi, Horst Seehofer consuma il primo, pesante strappo pubblico con la cancelliera. Al congresso della Csu la costringe a stare in piedi, accanto a lui, mentre pronuncia la parola che separerà per sempre i due: “ Obergrenze”, “tetto ai profughi”. Merkel non arretra di un millimetro su un principio cui ha mantenuto fede fino ad oggi: niente tetto, chiunque arriva in Germania ha il diritto che la sua richiesta di asilo venga esaminata. Ma anche a Vienna il clima cambia: il governo di Grande coalizione – con ministro degli Esteri l’attuale primo ministro Sebastian Kurz – costruisce il blocco delle frontiere lungo i Balcani. I flussi crollano. Merkel fa finta di niente. Ma se la crisi rientra, è anche merito di quella prima chiusura delle frontiere.In quei mesi, la cancelliera riesce a strappare alla Turchia un accordo da sei miliardi di euro per fermare i migranti che tentano di arrivare in Grecia e disegna un accordo in Europa che prevede la redistribuzione di 160mila profughi – le famose quote – e che resterà sempre, più o meno, lettera morta. Ma è nel Paese che vive le sconfitte più brucianti: 5 elezioni regionali nel 2016 in cui l’Afd diventa una Volkspartei a Est e l’anno dopo conquista il Bundestag. Lei vara leggi sempre più restrittive, sui profughi, sull’integrazione, sui ricongiungimenti, ma mantiene il rifiuto della “ Obergrenze” tanto cara a Seehofer.E nella campagna elettorale del 2017, dopo aver faticosamente siglato con Seehofer una tregua, sia Merkel, sia il suo rivale Martin Schulz cercano di evitare in tutti i modi l’argomento. L’emergenza, del resto, non c’è più. Ma Seehofer la ricrea a tavolino, qualche settimane fa, per rincorrere l’Afd che, stando nei sondaggi, ha già strappato alla Csu la possibilità di mantenere la maggioranza assoluta dei voti, alle elezioni in Baviera di ottobre. Proprio alla luce di un obiettivo ormai irraggiungibile, la traiettoria da kamikaze di Seehofer di queste ore sembra una totale follia.