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 2018  luglio 02 Lunedì calendario

Elogio di Guido Meda

Estate, le finestre aperte a cercare un refolo di vento che non c’è. È il primo pomeriggio della domenica e qualcuno grida. Sono urla modulate, continue, durano parecchio tempo, tanto quanto dura il Motomondiale che si corre in Olanda. Basta poco per capire cosa sta succedendo: «La geometria e la fisica non sono delle opinioni»; «Un sorpasso come se non ci fosse un domani»; «Marquez pazzesco».
Guido Meda, il telecronista di SkySport, la «voce delle moto», non conosce mezze misure: molti lo adorano, altrettanti non lo sopportano. Sostengono, i detrattori, che le sue telecronache non sono tecniche, che sono troppo urlate, che si sovrappongono all’evento sportivo. Non ci sono più remore estetiche nelle narrazioni dello sport: i telecronisti vogliono essere i veri protagonisti. Eppure, il caso Meda è interessante. Perché, prese le debite misure, si è comportato nei confronti della MotoGP come, di solito, si comporta uno scrittore. Ha capito che di mezzo c’è un problema di storie e di linguaggio. Le corse vere accadono, quelle in tv si «scrivono».
Bisogna allora creare un mondo fantastico, far emergere i personaggi in maniera plausibile. Certo, i telecronisti devono ripetere le stesse frasi per darsi una riconoscibilità (le sciabolate, il tè dell’intervallo, l’inerzia della partita…) e Meda non è da meno: se dalla finestra del vicino senti urlare frasi come «Tutti in piedi sul divano!» o «Rossi (Marquez, Dovizioso, Vinales…) è passato dove non si può, dove c’è scritto vietato passare, dove te lo vietano gli dei!» o «Gas a martello, giù la testa nella carena!», beh, se li senti, significa che Guido Meda è all’opera.
Sono frasi banali, c’è troppa enfasi, troppo kitsch? Può darsi, sono frasi che costruiscono un gergo, un mondo a parte, le tante metafore per dare espressività a uno sport non così popolare come il calcio. Succede con la lingua parlata.