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 2018  luglio 01 Domenica calendario

Il finto suicidio nel Po del bancario. «Mentivo, ma per risarcire i clienti»

«Ora ho trovato il mio equilibrio, la mia serenità. Dire che sono felice è un po’ troppo perché la felicità è difficile, sono momenti. Diciamo che sto bene, affronto la vita con sincerità e non c’è più niente che mi spaventi». 
La voce di Gabriele Andriotto, classe 1964, arriva dalla sua nuova vita ad Adria, Rovigo. Nuova nel senso letterale della parola. Ricostruita daccapo dopo la notte in cui si uccise, fra il 24 e il 25 marzo 2012. Scrisse lettere d’addio alle persone che amava, inventò una scusa per prendersi un paio di giorni di vantaggio sulla ricerca del corpo, scelse un punto in cui il Po era più grosso, le acque più profonde, e annegò. O almeno così fece credere al mondo.
Quel ragioniere irreprensibile dalla vita anonima, dal lavoro in banca, dal matrimonio apparentemente perfetto e con una figlia che adorava, mise in scena la sua morte e sparì. C’era improvvisamente una crepa nel muro di bugie che aveva costruito, tutto rischiava di crollare e lui non avrebbe saputo spiegare dieci anni di operazioni bancarie a dir poco strane, di trasferimenti di denaro e redistribuzione di fondi da uno all’altro dei suoi clienti.
Avrebbe perduto la cosa a cui teneva di più: la rispettabilità. «Mi sono chiesto: cosa può far parlare la gente più delle bugie che ho raccontato? C’era solo la morte. Ho vissuto per sette mesi praticamente senza identità, senza sapere cosa avrei mangiato, dove avrei dormito. Ora mi volto poco indietro, quel che è stato è stato».
A questo punto la domanda è: perché ripescare adesso quest’uomo dalle cronache di sei anni fa? La risposta sta in un libro che si intitola «La vita che mi spetta», in uscita la settimana prossima per Fernandel. Autore: Andrea Priante, giornalista del Corriere delVeneto che ha impiegato due anni – due – per convincere Gabriele Andriotto a fidarsi di lui e raccogliere una sorta di confessione. Molto più di quel che è scritto nei verbali dei carabinieri che lo ritrovarono in una specie di trullo a Castro (Lecce). «Il libro è stato una terapia», dice lui stesso, «un modo per fissare i pensieri e star bene con me stesso».
Per la prima volta l’ex bancario di Adria è tornato fra i ricordi del finto suicidio, ha ricostruito i dieci anni di irregolarità, ha raccontato dei mesi vissuti alla macchia. 
Il libro mette a fuoco tutto. Per esempio spiega che cos’era esattamente il gran pasticcio combinato in banca, soprattutto i rendiconti falsi con i quali presentava ai suoi clienti situazioni diverse dalla realtà. «Avevo messo a posto quasi tutto...» dice ancora un po’ dispiaciuto per non aver concluso l’opera. 
Si scopre così che aveva consigliato ai suoi clienti di puntare su titoli crollati assieme alle borse di tutto il mondo dopo l’attacco alle Torri Gemelle. Nel libro racconta che quella gente aveva perso molti soldi, che lui non ci dormiva la notte e che decise di mettersi a studiare per aiutare tutti a recuperare le perdite. Convinse i clienti a non disinvestire mostrando falsi rendiconti, appunto, per rassicurarli. Loro ignari di tutto, lui sempre più esperto di titoli e investimenti. Per dieci anni riuscì a guadagnare dove altri perdevano e ogni volta ridistribuì i soldi ai clienti. Era quasi riuscito a ripianare le perdite di tutti quando, per caso, un collega scoprì che c’era qualcosa che non andava nei documenti che produceva. 
«E a quel punto, con quel finto suicidio, ho fatto l’errore più grosso della mia vita» ammette lui. «Ho ferito le persone che mi amavano e soltanto dopo, tornando a casa, ho scoperto che erano ben più di quante credessi. Mia figlia, prima di tutti, poi mia madre, la mia ex moglie, molti vecchi amici. E poi Elena».
Elena era la donna con la quale aveva una relazione, quando finse di uccidersi. Adesso è separato e vive con lei, ad Adria. Dalla sua storia nessuna conseguenza giudiziaria, solo una ammenda per il procurato allarme del suicidio simulato, le indagini hanno accertato che non ha tenuto per sé nemmeno un centesimo. 
Andriotto oggi lavora come impiegato con i medici di base della sua zona. Sul luogo del non-suicidio è tornato una sola volta, con l’autore del libro. Nel suo eremo in Salento, invece – un casotto cadente e abbandonato – torna ogni anno. Per non dimenticare.