Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2018  luglio 01 Domenica calendario

Nash a Roma

«David Crosby? Non lo sento da due anni, è una storia chiusa. Basta». Per Graham Nash, la pietra che ha messo sopra il suo illustre passato, è un macigno che non si smuove. Un passato che è stato, soprattutto, il gruppo simbolo della Summer of love e della West coast sound, Crosby, Still & Nash, ancora più celebrato (e rimpianto) nella versione che vedeva aggiungersi un altro campione assoluto dell’american songwriting come Neil Young. 
Non c’è aria di riappacificazione per Graham, l’inglese della compagnia, e i suoi vecchi amici e il peggio è che non c’è neppure rammarico. La rottura, poi, è tanto più forte perché ha coinciso con altri cambiamenti epocali nella sua vita: la fine di un matrimonio durato 38 anni (e nel mondo del rock è un bel primato), l’esplosione di un nuovo amore con una donna che ha la metà dei suoi anni, il trasferimento a New York dalle Hawaii dove viveva, la scelta di andare in giro con una sua band, con Shane Fontayne alle chitarre e Todd Caldwell alle tastiere, una formazione intima che ora è tornata in Italia per cinque date: debutto a I suoni delle Dolomiti ieri, oggi Recanati, domani a Roma alla Casa del jazz per la stagione dei Concerti nel parco, il 4 Pistoia, il 5 Milano. Mister Nash, a 76 anni, ci vuole una bella forza per affrontare tanti cambiamenti. «Ormai è due anni che è così e sono entusiasta. Francamente, non mi sento vecchio. Quando mi guardo allo specchio stento a riconoscermi». 
Nei suoi show il suo lungo passato è molto presente, soprattutto quello coi suoi ex amici, Crosby e Stills.
«Molte di quelle canzoni le ho scritte io, quindi è del tutto legittimo che le presenti nei miei concerti, assieme al materiale del tempo degli Hollies».
Parla di pezzi come Marrakesh express, Wasted on the way, Cathedral (sull’esperienza con l’lsd), Teach your children. Ma, nella scaletta c’è anche A day in the life dei Beatles: è un aggancio con il debutto degli Hollies al Cavern di Liverpool, la tana di Lennon e McCartney?
«Il primo show lo abbiamo fatto nel dicembre 1962, i Beatles erano appena sbocciati, ma il successo doveva ancora arrivare. Con loro siamo poi diventati amici: lo sa c’è anche il fischio nel finale di All you need is Love». 
Gli Hollies hanno avuto una forte popolarità, ma il suo successo è legato ai sogni e agli ideali degli anni 70 e all’America. 
«I 70 sono stati una folgorazione. Difficile da spiegare il fenomeno, ma eravamo una generazione cresciuta in anni di euforia: il dopoguerra, Kennedy, i Beatles che avevano portato una grande ventata di aria fresca». 
Euforia, ma anche droga. Come mai quella generazione è stata così legata all’uso di stupefacenti? 
«La prendevano tutti, ma nessuno sapeva quanto fosse pericoloso. Io ho continuato a fare uso di cocaina fino al 1984. Poi ho detto basta. Ormai sono tanti anni che mangio biologico, faccio sempre grandi camminate, faccio ginnastica...». 
Smise così, di punto in bianco? 
«Non mi piaceva più. E non sono mai tornato indietro». 
Una delle canzoni che canta in questo tour, Our house, l’aveva scritta per Joni Mitchell, la grande cantautrice con cui ha avuto una storia d’amore che, all’epoca, divenne celebre. 
«Joni l’avevo conosciuta qualche tempo prima, in Canada, a una festa dopo un concerto degli Hollies. Poi l’ho rivista a un altro party dove mi aveva portato David Crosby: quella sera siamo andati via insieme a casa sua, lei mi ha cantato una decina delle sue canzoni e non ci siamo lasciati per due anni». 
Negli ultimi tempi Joni non è stata bene. L’ha sentita di recente? 
«Siamo sempre rimasti in contatto e ci siamo visti due mesi fa. Ora sta meglio, parla, cammina. Qualche tempo fa è andata a vedere un concerto di James Taylor, spero che possa migliorare ancora». 
Secondo lei lo spirito ribelle del rock anni 70 può avere ancora la capacità di smuovere le coscienze? 
«Credo proprio di sì. C’è un video che gira su You tube, This is America di Childish Gambino, che è un secondo nome d’arte del rapper Donald Glover: manda un messaggio fantastico e brillante sulla realtà e la violenza che stanno vivendo gli Stati Uniti. Consiglio a tutti di vederlo, come hanno già fatto alcuni milioni di persone». 
Anche lei è appassionatamente iscritto al fronte degli oppositori di Trump, che in America sembra avere ancora molto seguito.
«C’è molta stupidità in giro e consideriamo che non vota il 42 per cento del paese. Personalmente sono molto contrariato da Trump, un presidente che si preoccupa solo di se stesso e ha messo l’America su una strada sbagliata. Eppure resta un grande Paese».