La Lettura, 1 luglio 2018
Un anno nella cella frigorifera. Il mistero del prof di religione
Il via libera alla cremazione è finalmente arrivato, dopo che per 346 giorni quel corpo è rimasto chiuso – come dimenticato – in una cella frigorifera dell’obitorio di Granada. Edgardo Priori è morto verso sera, il 17 luglio 2017, nella stanza 304 della pensione Gran Capitán. Era sotto la doccia quando il suo cuore si è fermato di colpo, senza lasciargli nemmeno il tempo di chiedere aiuto. A lanciare l’allarme, la mattina dopo, è stata l’anziana proprietaria dell’alberghetto in cui si era stabilito da tempo. Era davvero strano che el profesor, abitudinario al limite del maniacale, la sera prima non fosse uscito per la cena poco prima delle 20 e addirittura, quella mattina, non fosse comparso per la colazione. Aveva 76 anni, soffriva di diabete, ma sembrava stare bene. Di sicuro non si aspettava quella morte improvvisa, visto che aveva deciso di far fruttare parte della sua pensione in un fondo d’investimento per assicurarsi quel tenore di vita minimalista per un futuro senza data. Però aveva buttato giù, a mano, una sorta di ultimo desiderio: essere cremato e tumulato in Andalusia, nella città che aveva scelto per i suoi anni da pensionato solitario.
Tutto quello che resta di lui è contenuto in una vecchia valigia verde: un album di fotografie, un piccolo candelabro ebraico, un orologio, la tessera sanitaria italiana e una fotocopia di quella spagnola, un po’ di documenti, tra i quali – custoditi con particolare cura – il diploma in ragioneria, il libretto accademico e la tesi in teologia. Tutto sotto la custodia della magistratura spagnola, assieme al conto corrente con un saldo di 33.860 euro e 22 centesimi, in attesa che si faccia vivo un erede. Ma per quasi un anno nessuno lo ha cercato. Anzi, è toccato alle autorità iberiche e italiane mettersi alla caccia di un parente, anche lontano. E, nell’attesa, il tribunale ha bloccato, nel frattempo, l’autorizzazione alla sepoltura.
Per gli investigatori andalusi, sin dall’inizio, il caso Priori si presenta come un giallo senza cattivi. Scavare nella vita di Edgardo Priori si rivela molto più difficile che fare luce sulla sua morte. Ma nel maggio 2018 il caso comincia a essere noto in città. Yenalia Huertas, giornalista del quotidiano «Ideal», durante i suoi giri giornalieri in tribunale viene a sapere di quella salma congelata da dieci mesi all’istituto di medicina legale, con un nome e un cognome, persino dei soldi in banca, ma senza una storia e soprattutto senza nessuno che possa dargli la pace della sepoltura. È lei, quindi, a offrire il primo ritratto di Priori da vivo, ricostruendo la routine dei suoi anni andalusi. Juanita Medina, proprietaria ottantenne della pensione Gran Capitán dove l’italiano abitava dal 2007, descrive un uomo di poche parole, molto cortese e formale, molto preso dai suoi studi teologici. Raramente lo ha visto senza libri o dattiloscritti in mano. E lo stesso raccontano a Casa Braulio, dove il solitario italiano andava a pranzo e cena, con una regolarità di orari diventata leggenda. «Era garbato, formale, religioso – ricorda la titolare, Luz Romero – parlava molto di Dio e poco di sé stesso. Diceva che era stato professore a Milano, che era scapolo e che al mondo aveva soltanto un cugino».
Ma chi era davvero Edgardo Priori? Chi e che cosa si è lasciato alle spalle prima di finire dimenticato in un obitorio spagnolo? Di sicuro è nato a Pavia il 24 ottobre 1940, di sicuro si è diplomato in ragioneria alle Scuole Cardinal Ferrari di Milano nel 1964 e di sicuro si è iscritto nel 1977 allo Studio San Zeno di Verona, dove si è laureato in Teologia nel 1982 con una tesi su La situazione storica e politica della Palestina ai tempi di Gesù. Nient’altro. Così, quando la notizia dell’italiano ibernato a Granada rimbalza in Italia, l’indizio più solido da cui parte «la Lettura», nel tentativo di restituire una biografia al teologo senza passato, è il codice fiscale indicato su un vecchio tesserino verde e bianco recuperato tra i suoi pochi effetti personali. Da quella sequenza di lettere e numeri – alla quale erano agganciati i 900 euro di pensione con cui tirava avanti – è possibile risalire all’ultimo luogo di lavoro: l’Istituto Comprensivo di Tregnago, in provincia di Verona. Insegnante di religione. E anche se la scuola ha cambiato nome e molto altro, c’è ancora qualcuno che si ricorda di lui: «Ci aveva chiesto aiuto per i conti sulla sua pensione – ricorda Susanna Pessina, veterana della segreteria – ma chi lo conosceva bene è il professor Ridolfi, chieda a lui». Anche Aldo Ridolfi è un docente in pensione, di quelli che non hanno mai voluto avere un cellulare. Della morte dell’amico e collega ha saputo quasi subito, perché lo stesso Priori aveva affidato a Juanita, l’albergatrice, alcuni numeri di telefono italiani da utilizzare in caso di necessità. «Un paio di settimane dopo, ai primi di agosto 2017, abbiamo organizzato una messa di suffragio – racconta – non eravamo tanti, ma siamo riusciti a coinvolgere qualche ex studente». In quel momento qualcuno si era anche posto il dubbio che dalla Spagna potesse arrivare una richiesta di farsi carico delle esequie, ma poi si è capito che le autorità erano alla ricerca di un parente.
Intanto dai ricordi di Ridolfi, l’uomo adagiato su un tavolo di obitorio comincia ad acquisire, oltre a un nome e qualche data scandita su un documento, i connotati di una persona che ha vissuto una vita e ne ha incrociate altre. «Aveva due grandi passioni: gli studi e i viaggi. E li ha coniugati. In Oriente si è avvicinato al buddhismo, in Terra Santa all’ebraismo e ha maturato convinzioni filosofiche che tenevano insieme il suo profondo cattolicesimo e le altre fedi». Ma anche con l’amico e collega, Priori parlava pochissimo e malvolentieri del proprio passato. Le donne, però, sanno avvicinarsi meglio alla sfera più delicata delle persone. Così, a salvare tracce di memoria di quell’uomo oltremodo riservato, è una vicina di casa di Badia Calavenna – Anna Perbellini – capace di scalfire la cortina di silenzi in cui Priori aveva rinchiuso una parte della sua vita: «Era evidente che fosse un uomo veramente solo, ho cercato più volte di farlo parlare della sua famiglia, gli ho proposto di andare a cercare i cugini di cui aveva accennato, ma non voleva saperne. Una sera disse che intendeva buttare via le vecchie foto che teneva sparse in una scatola, ma io mi impuntai e, anzi, gliele misi in ordine in un raccoglitore». Quell’album di fotografie è tra gli oggetti rinvenuti nella valigia verde che aveva con sé a Granada.
Con la sua pazienza e i suoi bei modi, la signora Anna è riuscita a farsi raccontare qualcosa di più: «Veniva da una famiglia agiata, suo padre era un commerciante di tessuti, avevano l’automobile in anni in cui era ancora un lusso, e si erano trasferiti da Pavia a Milano». Il punto di svolta fu la morte del padre. «Edgardo tornò a Pavia con la madre, che non riusciva a superare il dolore. Ricordo esattamente le parole con cui ha riassunto quegli anni: “Vivevamo chiusi in casa, soli come eremiti”». Quando morì anche la mamma – negli anni Settanta – iniziò una nuova fase della vita di Priori, destinata a rimanere nell’ombra. «In quel periodo si è manifestato il suo interesse per la religione – spiega la signora Perbellini – ma tutto quello che sono riuscita a sapere è che prima degli studi teologici a Verona ha trascorso un periodo a Torino presso i Fratelli delle scuole cristiane. Parlare di quel passato sembrava causargli sofferenza». Nonostante questo istinto di tagliare col passato, con Anna e Aldo non ha mai voluto rompere il legame. Nemmeno dopo il trasferimento a Granada. «Ci telefonava periodicamente e siamo stati anche a trovarlo», ricorda l’ex collega. Perché Edgardo Priori, evidentemente, sebbene avesse dimostrato di essere un uomo solitario, non voleva sentirsi del tutto solo. Lo conferma da Granada Marcello Memoli, console onorario italiano per l’Andalusia orientale, che lo ha incrociato più volte al ristorante. «Sia con me sia con i molti turisti italiani che incontrava cercava sempre la conversazione, qualche volta anche offrendo inviti a cena formulati con un garbo d’altri tempi». E anche alla luce della difficoltosa caccia a un parente, il diplomatico conclude: «Era una persona davvero sola».
Ecco chi era – da vivo – l’uomo al quale per quasi un anno – da morto – è stata prolungata la solitudine terrena in una cella frigorifera. Alla fine un parente è stato individuato: il figlio di un cugino a sua volta scomparso da anni, che non lo ha mai conosciuto né sa nulla di lui. Nel frattempo il tribunale di Granada ha tenuto in considerazione il manoscritto di Priori come un «testamento olografo» e ha quindi disposto, secondo la sua volontà, la cremazione e la tumulazione nel colombario del cimitero di San José. Tutto a spese dello stesso defunto, dal momento che dopo mesi di attesa la banca che ancora custodisce i suoi risparmi ha autorizzato il pagamento delle esequie. Così, alla vigilia del primo anniversario della morte, Edgardo Priori può essere finalmente estratto da quella gelida anticamera e anche il suo corpo può trovare la pace definitiva.