La Lettura, 1 luglio 2018
Guardate, sono nudo Portatemi cibo e vestiti
Nel novembre del 2008, dopo aver concluso l’esperienza di San Paolo, dopo aver animato per due settimane la ventottesima Biennale brasiliana presentandosi ai visitatori nudo, senza cibo, senz’acqua, senza parole, costringendoli a reagire e a interagire, l’artista Maurício Ianês disse: «Non lo farò mai più, è stato troppo intenso». Ci sono voluti dieci anni per fargli cambiare idea. E una mostra, Brasile. Il coltello nella carne, che raccoglie al Pac di Milano – dal 4 luglio al 9 settembre – i lavori di trenta artisti brasiliani impegnati a raccontare un Paese e i suoi conflitti. Allora la performance di Ianês – lui preferisce definirla azione – si chiamava Sem título (A bondade de estranhos). A Milano sarà Untitled (Dispossession). Durerà dal 5 al 19 luglio e metterà alla prova il pubblico italiano.
Le regole di quello che non è un gioco, ma una riflessione sulla comunicazione umana e le sue forme alternative, sullo scambio non mediato dal linguaggio o dalle convenzioni: l’artista arriverà al Pac (da cui uscirà solo a fine azione) completamente nudo, si muoverà il meno possibile, non parlerà. Affiderà la sua sopravvivenza alla «bontà degli estranei», che gli porteranno vestiti, cibo, acqua, coperte, libri. Non si farà la barba «a meno che non mi diano un rasoio», indosserà almeno una volta gli indumenti che gli saranno offerti, «anche quelli che non mi vanno», mangerà tutto, «anche se sono vegetariano», dormirà nel museo, anche se non ha ancora visto dove.
«Non sono in grado – spiega Ianês a «la Lettura» – di prevedere come andrà. So solo che dieci anni fa il progetto superò ogni mia aspettativa, non ero sicuro di riuscire a portare a termine l’azione, e invece con i visitatori si è creato un legame profondo, alcuni tornavano, passavano anche solo per rimanermi accanto». Fu un successo. E il raggiungimento di un doppio obiettivo: da una parte mettere in discussione il rapporto tra l’artista e lo spettatore, dando a quest’ultimo una scossa, spingendolo ad avere un ruolo attivo nel progetto creativo; dall’altra sconvolgere le gerarchie del sistema dell’arte facendo risaltare i limiti del linguaggio verbale e artistico, sollevando questioni politiche e sociali. Del resto l’intera mostra ha questo scopo: Il coltello nella carne chiede al pubblico di sforzarsi a «identificare in ogni opera qualcosa di diverso da quanto riconosciuto al primo sguardo», essendo l’esposizione stessa «contraria al posizionamento paternalista e accondiscendente tipico dei governi autoritari ancora così comuni nei Paesi in via di sviluppo. E invitare a tracciare parallelismi e scoprire analogie poco ovvie equivale a dire che sì, il pubblico è capace di comprendere quello che non è scritto, sentirà sulla pelle, nella carne, come un coltello, quello che le opere dicono», spiega uno dei due curatori, Jacopo Crivelli Visconti (l’altro è Diego Sileo), in un saggio che accompagna la mostra.
L’arte quando il linguaggio verbale non basta. L’arte politica, soprattutto quando si tratta di performance, «anche se non ho voce, anche se cerco di affievolire la mia presenza per far parlare gli altri», continua Ianês. «Quello che mi interessa è la precarietà che i visitatori vedono in me, la loro reazione: a San Paolo, dieci anni fa, gli spettatori (l’ingresso era gratuito) avevano di fronte un artista bianco che sembrava un senzatetto. La cosa fece impressione, nel mio Paese l’arte è una forma espressiva ancora molto elitaria, quello “spettacolo” era radicale, come la Dispossession che porterò a Milano. Forse ancora di più, perché al Pac sarò non solo un artista che con la sua presenza pone questioni fondamentali. Ma soprattutto uno straniero». Un continente diverso, una situazione sociale ed economica distante, un altro mondo. «In realtà i nostri Paesi hanno molto in comune. E anche in Italia la situazione politica è delicata. Vedremo come andrà». Una risata: «Non posso dire di essere preoccupato, ma un po’ in ansia sì».
L’azione di Ianês al Pac sarà la seconda assoluta, non ci sono state repliche nel corso dell’ultimo decennio. In questi giorni si prepara cercando di mangiare meno e più lentamente, controllando la sete. «Per il resto continuo a fare la vita di tutti i giorni. So che psicologicamente si tratterà di un’esperienza molto pesante, ma non vedo l’ora di essere a Milano, attendo con curiosità gli spettatori, voglio godermi le loro sensazioni. E le mie».
Maurício ha quasi 45 anni, li compirà l’8 luglio, proprio durante le sue giornate «in azione» al Pac. Il suo fisico, dice, rispetto al 2008 è molto cambiato, «ho diversi chili in più e sono invecchiato». Il fatto di doversi presentare nudo è fondamentale per il suo esperimento artistico, ma questo non vuol dire che la cosa non gli abbia creato imbarazzi in passato («oh sì! A San Paolo mi sono vergognato tantissimo in alcuni momenti») e che non gli dia qualche pensiero per quello che succederà a Milano. «Mostrarsi senza indumenti significa non avere protezione, sentirsi scomodi, in difficoltà. Ma questa è la regola che mi sono dato». Come accettare qualsiasi cibo gli venga offerto, «in Brasile continuavano a portarmi carne, e pazienza per le mie abitudini alimentari». Come limitare le espressioni e i movimenti. E le parole. Al Pac, dove l’artista farà un sopralluogo nei prossimi giorni («ci sono stato una volta sola»), porterà una fotocamera. Non la userà, qualche amico potrà scattare alcune immagini o filmare le scene. Il resto è tutto da inventare. «Al termine dell’azione ho programmato una settimana in campagna. Servirà per riprendermi da un’esperienza così forte, in cui sofferenze e contraddizioni emergono in qualsiasi momento. Ma in fondo fare arte significa proprio questo».